Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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L'ignoto che appare  
Teatro e identità #1 - Apre a Firenze CanGo per opera di Virgilio Sieni. Molto più di uno spazio. Un'occasione.      
di Gian Maria Tosatti      

FIRENZE - La Lettera semi-aperta pubblicata su questa rivista qualche settimana fa ha aperto un dibattito concreto all'interno del Nuovo Teatro.
Molti interrogativi si sono accesi, molte domande una volta tanto radicali. Segno che il tempo era quello giusto per innescare una reazione a catena che ha spazzato via la diplomazia di mentale e di circostanza, i discorsi sulle poetiche e ha ridotto all'osso, all'essenza lo spirito della questione.

Rifondare per necessità un Teatro d'Arte in Italia. Dopo la pubblicazione di alcune risposte alla succitata lettera sullo scorso numero di LifeGate Teatro è apparsa sulle pagine di "ateatro.it" e di altri giornali la "Lettera aperta al Teatro Italiano" della formazione ravennate Fanny & Alexander, che apertamente dichiara di collegarsi al dialogo da noi iniziato prolungandone l'onda d'urto, potenziandola con la carica di una testimonianza forte ed importante di disagio e volontà di reagire.

In questo quadro attivo, che ha visto succedersi ancora altre lettere aperte e telefonate, incontri ed occasioni concrete di lavoro, è significativa l'apertura dei Cantieri Goldonetta di Firenze, inaugurati lo scorso 27 dicembre da Virgilio Sieni con una settimana di attività dal titolo La democrazia del corpo, in cui s'è cercato di riflette il carattere di questa neonata esperienza. E' vero che già da tre anni i lavori della compagnia e del Comune di Firenze erano avviati, ma che proprio oggi, proprio in questo momento critico e prezioso, si sia deciso di aprire le porte e di tagliare il nastro di partenza pare un segno decisivo.

CanGo (questa l'abbreviazione che amplia il senso del progetto non alludendo ai soli Cantieri come luogo fisico) è infatti qualcosa di concreto, di reale, che emerge dall'ignoto delle tensioni innovative. Qualcosa che incarna con precisione quelle tensioni, ma lo fa in atto, in prassi, divenendo l'espressione di un altro Teatro, di un'alternativa al Teatro pre-pensato, pre-digerito.

CanGo è più di uno spazio, è una volontà. La volontà rimanere un luogo aperto, un punto di ascolto in cui il Teatro possa davvero cercare di capire quale sia il suo spazio, il suo tempo, la sua esatta relazione con il pubblico e con quale pubblico. CanGo vuole essere un luogo di ospitalità e produzione in cui proporre agli artisti la tentazione della vicinanza gli uni con gli altri.

Nel cuore del quartiere Santo Spirito di Firenze, rione storico in cui resiste la tradizione artigiana cittadina e ricchissimo di esperienze diverse, si centra il "progetto" CanGo. Come fuoco ci sono appunto i Cantieri Goldonetta, spazio di estrema duttilità e fascino tra i più strutturalmente funzionali a livello europeo. Ma attorno c'è un quartiere, la sua gente, la sua assemblea civile.

Il giorno che abbiamo visitato CanGo Sieni ci ha accompagnati in una ricognizione del territorio, spiegandoci per filo e per segno la rete di rapporti che lentamente si sta tessendo tra la nuova realtà e le strutture preesistenti (come circoli, associazioni, botteghe, scuole), non per coinvolgere a tutti i costi, ma per interrogarsi dialetticamente sul ruolo del teatro, la sua identità e conseguentemente la sua necessità. Già in questa inaugurazione tale impronta si è fatta sentire e ha registrato una partecipazione altissima di pubblico.

E di partecipazione è il caso di parlare anche per gli artisti che hanno portato il loro contributo e abitato questo evento. Si sono succedute formazioni di danza, poeti, artisti visivi, in un dialogo aperto che ha permesso al pubblico un'interazione libera, naturale, quasi "naturistica" nell'attraversare gli spazi.

Tra le opere cui ha potuto assistere chi scrive è da segnalare un convincente studio su Cappuccetto Rosso pensato per un pubblico di bambini e realizzato da Erika Faccini, giovane danzatrice della compagnia di Sieni, che compie una variazione interessante sul lavoro del coreografo operandone una riorganizzazione ritmica e spaziale che centra il fuoco sulla sagoma nitida del personaggio colto in un tempo preciso, quasi estrapolato di noia dalla temporalità generale.

Discorso diverso per B. Per una volta voglio allacciarti io come si deve presentato in prima assoluta per la coreografia appunto di Virgilio Sieni, che è apparso come un passaggio aperto nella prospettiva di un mutamento di linguaggio. In questo lavoro su Biancaneve, che conquista un punto franco tra la fiaba e la narrazione onirica su sfondo iperrealista tipica del cinema, fa la sua comparsa una sintassi diversa da quella precedente. Una lingua in cerca delle sue regole e attenta alle proprie dinamiche interne. Sieni sembra abbandonare la prosa per il frammento lirico, nel cui discorso l'enunciato cede al respiro della pausa, della preposizione relativa, della virgola che unisce enunciati a loro estranei, della dissonanza attorno cui gravitano punti d'attrazione. Qualcosa che mostra ancora un grado alto di autoriflessione e che va seguito con attenzione anche per i suoi rimandi a echi di una certa danza contemporanea europea che sta ricostruendo la sua grammatica in una lineare ridiscussione e riattraversamento del filo teso tra l'eredità orientale e quella americana.

Ha chiuso la nostra serata La Ribot, compagnia ispano-britannica, con la performance Anna y las mas distinguidas, risultato (che nega la sua definitività) di una ricerca che questa volta nella linguistica della scena vede più tecnicamente e specificamente il suo obiettivo. Un lavoro in cui la rigorosa e chiara interrogazione sulla dinamica strutturale del rapporto performance-spettatore sviluppa, anche grazie alla mirabile esecuzione di Anna Willams, una forte carica emotiva.

In sintesi questo è stato solo un assaggio, una inaugurazione che è somigliata più ad una prova generale. Ma il merito appunto è tutto nei segni, gli aruspici, nella forma in movimento, ipotesi in movimento di un teatro ignoto ed integralmente nuovo, che appare nel momento in cui gli artisti di questo Paese si interrogano sulla possibilità di nuove strade, di nuovi percorsi.


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -