Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Parole dal palcoscenico    
Risposte alla "Lettera semi-aperta"      
di Gian Maria Tosatti      

In questo articolo abbiamo mescolato alcuni brani delle risposte che ci sono arrivate dagli artisti a seguito della lettera semi aperta pubblicata nel numero 14 (vedi archivio editoriali). Non c'è la volontà di mostrare uno spaccato delle passioni di una fetta di teatro. Pubblichiamo questa serie di estratti perché LifeGate Teatro è un "dialogo", non una rivista. E' un luogo in cui non si parla a senso unico.

Abbiamo scelto di non citare gli autori delle lettere.

[...] Due parole. Al volo perché è tardi e domani mattina devo alzarmi presto.

[...]
ho letto la tua lettera aperta
anzi semi aperta
m'ha fatto bene
ma ho in bocca uno strano sapore
penso a quanto s'è ridotto quanto s'è chiuso quanto sia semi-aperto

[...] Ma certo le tue preoccupazioni sono le mie! Sono quelle di chi ha quelle stelle nel cuore (Artaud Pasolini Jarry e ognuno aggiunga i suoi...) e le prende sul serio. Di chi non si accontenta di fare gastronomia teatrale, ma si interroga bruciando sul senso e la necessità del teatro oggi. Però, ripeto, il tuo discorso solleva tali e tanti nodi che...

[...] Penso, strano ma vero, ad una materia che ho odiato tantissimo al liceo e che più la studiavo meno la capivo: la fisica.
E penso ai vettori, quelle freccette che indicano delle forze. [...] il dire e il fare...e... è in quello scontro che sta il teatro!!!

[...] Un teatro forse "romantico"...negli ideali, nei proponimenti...ma dove andiamo senza ideali, senza proposte, senza il coraggio, oggi più che mai, di schierarsi? Sento tanta ignavia, intorno a me, mentre credo che ora più che mai sia necessario rivendicare il proprio lavoro, la propria rivolta, il proprio dolore e la propria gioia.
Non basta fare Resistenza: quella è importante, assolutamente, ed è fondamentale e necessaria.
Ma prima ancora c'è l'urgenza e la necessità, o l'urgenza necessaria o la necessità urgente...

[...] E qui forse mi riallaccio alla tua ultima lettera o articolo non so: che cosa c'entriamo noi col teatro?
Ma non mi piace questa domanda perché io credo, io giuro che quello che noi facciamo è il teatro.

[...] chiedo alla lettera. e la lettera non mi risponde.
(mi) chiedo realmente e mi rispondo in un altro modo forse
o forse non rispondo
possibile che nei tempi bui si cantino i tempi bui?
e quell'oltre da cui parte - il teatro?
e quell'oltre dove vuole arrivare - il teatro?

[...] meccanismo dei finanziamenti [...] giornate lavorative [...] borderò [...] scambi [...]

[...] L'aveva intuito Carmelo Bene, con le sue grandiose sparate contro la Ricerca di Stato e in favore di una "ricerca impossibile". Certo, oggi in molti esaltano questo grande uomo di teatro; ma quanti veramente lo hanno capito? Fa comodo esaltarne l'attorialità, meno sottolineare l'estrema politicità delle sue posizioni teoriche e pratiche sul teatro contemporaneo; e difatti poco se ne parla.

[...] Poi penso a Stanislavskij chiuso nel suo teatro con gli attori giovani a lavorare pensando neppur lontanamente allo spettacolo
poi penso al Workcenter
epperò poi penso a Leo, a Marignano con i suoi zappatori, che non ho
visto - e immagino anche tu non abbia visto -
eppoi, per fortuna, resta quello strano sapore di cui sopra

[...] Ne sono certo: corpo e lingua vanno combinati in modo che si fondi, sulla scena, una nuova significazione. Ma ciò presuppone, come tu ben sai, una grande consapevolezza delle tecniche compositive e recitative

[...] il poema scenico che proponi deve essere in grado di farsi apprezzare in qualità (si deve saper recitare, quando si sale su un palcoscenico). Poi, ma solo poi, può cominciare la disputa tra le diverse estetiche, il dibattere tra le poetiche, lo scontro delle prospettive.

[...] mi è estraneo il procedere "astratto", poetico-idealizzato, che rischia la sterilità. [...] la mia [...] è un'utopia concreta, se parliamo di adolescenti è perché sono legione davvero "dentro" il nostro teatro, se parliamo di attori che "bruciano tra le fiamme" è perché davvero Ermanna (un nome per tutti gli altri) "brucia tra le fiamme", se da sempre invochiamo un teatro politttttttico è perché poi parallelamente lo agiamo, se da vent'anni lavoro per una "drammaturgia di carne" è perché ostinato continuo a cercare una strada lucente che scansi da una parte la "drammaturgia di carta" e dall'altra la "carne senza più attori", (e quando dico attori non intendo gli impiegati, intendo i "mostri" come Ermanna, Lombardi o Manfredini).

[...] Teatro luogo del sacrificio
Il teatro per noi è il luogo di un'esposizione. Il dato umano-oggetto, fenomeno qui e ora offerto allo sguardo, all'ascolto, sum senza cogito (altrimenti "ingenuità della carne") è il grande dettaglio del teatro. Luogo del sacrificio è il corpo innocente - capro, la cui innocenza è la sostanza stessa della mediazione che si compie tra individualità e universalità e che prende perciò forma di tragedia. L'attore, termine medio di questo compiersi, attua (in questo sì, attore) l'unica mediazione possibile, corpo anarchico che nella dinamica della propria instabilità e ineducazione genera forma e tempo come compimento di uno stato-spirito (a posteriori: destino o natura dell'atto) e non di un progetto (intenzione intellettuale).

Rivoluzione della cognizione
[...] L'impatto con l'umano privato della sua funzionalità sociale, come della maschera attoriale, ci precipita nella non zona della materia inerme, "identità metafisica tra concreto e astratto", umano non umano "engagement avec les substances", responsabile di trasformare lo spettatore in testimone, acuendone coscienza (pietas), peso, persino rifiuto del proprio ruolo.

[...] Posto il ribaltamento della coppia esposizione/rappresentazione e la retrocessione del pubblico spettatore in pubblico testimone (categorie che attengono a fatti genericamente umani e non specificamente teatrali) di un compiersi che forza, slabbra il codice, non potendo che prodursi in quel come e in quel quando, come verità dell'atto, il terzo elemento costituisce l'apparente contraddittorio. L'artificio svelante, la cornice del quadro, il museo, il teatro, "ceci ce n'est pas une.." conferiscono una sovraesposizione e perciò stesso uno sdoppiamento del (riflessione sul) dato di realtà. L'artificio svelandosi, si annulla. Il teatro, svelato, si nega, intuizione non raggiunta, additata, di un grado ulteriore di presenza. (Densità. Eccesso, ma anche Difetto.) Sotto questo profilo il teatro non esiste se non come dimensione dinamica perennemente slittata, conseguenza di un irriducibile evento di comunione tra attore-ostia e spettatori-convitati.
Non mi aspetto vita facile.

[...] vorrei regalarti anch'io una citazione...

"Il tragico non ha più cittadinanza perché non ha più cittadinanza l'emozione. L'emozione è sentita come devastante, ed è diventata imbarazzante. Il sentimento del tragico fa saltare qualsiasi ordine, sociale e personale. Per controllare il tragico gli uomini hanno inventato ritualità, anche sacrificali e, quindi, il teatro. Una società senza il sentimento del tragico è una società che muore, è una società che si autodistrugge. E' una società che non sa controllare i propri fantasmi [.] Ma le rimozioni si pagano con la malattia". (G. Manacorda - La tragedia del ridicolo, Ubulibri, Milano, 1986)


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -