Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 35
Dal 06/05/2024
al 13/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Acropoli  
Editoriale      
di Redazione Teatro      

La parola Jude scritta su una stella gialla è una delle immagini indebili nella memoria. Per chi ha conosciuto gli anni infami del nazismo e per i figli che hanno attraversato la Shoah sui libri di storia, nei documenti filmati, nelle foto terribili.
Quella parola e quel simbolo sono l’eredità che un’Europa morta nei campi di concentramento ha lasciato all’Europa che è sopravvissuta. Ebraica o cristiana, laica o religiosa. La stella con la scritta Jude è il marchio della persecuzione di un uomo verso un altro uomo. E non appartiene alla storia ormai, ma al mito, ovverosia a quel tessuto comune che attraverso le generazioni ci ammonisce contro il perpetrarsi continuo di orrori visibili e invisibili.

Che cosa sono i campi di concentramento oggi?

Sono sistemi di controllo in cui masse di persone sottostanno ad imperativi di produzione e consumo. Sono prigioni sconfinate, territori e intere nazioni in cui lo sfruttamento a beneficio di altre nazioni è logica quotidiana.
Uno dei teorici dei campi di concentramento, Aldous Huxley, ben prima che Hitler ne cominciasse la costruzione, definiva con estrema precisione la metafora di un Mondo Nuovo così somigliante a quello in cui oggi noi e i nostri figli muoviamo i nostri passi in una innocenza dettata dalla ignoraza sempre più dilagante. (Nel romanzo di Huxely il divieto della lettura dei classici imperava. Oggi quanti sono ancora a leggerli?).
Poche bandiere restano, come bandiere di Resistenza, vessilli alti nella memoria che si tramanda con forza quasi disperata. Il giallo stendardo a forma di stella è uno di quelli. E’ una bandiera che non quieta le nostre domande.

Che cosa sono i campi di concentramento oggi?

Ricorre in questi spettacoli il concetto di Acropoli così come lo intese Grotowski nel suo spettacolo omonimo, leggendolo da una lettera di Wyspianski, ovvero come il punto culminante dello sviluppo di una civiltà. Un’acropoli innegabilmente è quella dei Granili, un’acropoli è Auschwitz, così come lo è la Vienna schnitzleriana o l’Italia 2094 del Salmagundi di Martinelli.

In questo periodo nei territori artistici che competono la nostra rivista tale domanda ha ispirato più di un evento di rilievo.
In questo numero abbiamo scelto di riferirci a tre eventi teatrali e ad un libro che appartengono alla più stretta attualità, e che non si occupano di questo tema sotto una prospettiva storica, ma appunto cercano di esaltarne la potenza mitica. La potenza di ammonimento alle generazioni.

L’apertura spetta ad Anna Maria Ortese, che nel suo controverso romanzo Il mare non bagna Napoli, fa di uno dei tanti lager napoletani il riflesso di un sistema imperituro di discriminazione e omicidio proprio del genere umano. I Granili, un caseggiato immenso come molti ce ne sono ancora oggi alla periferia delle grandi città, sono il luogo in cui sono ancora visibili a occhio nudo le regole segrete su cui si basa l’ordine del mondo. Lo sguardo della narratrice, pellegrina sbigottita tra i paradossi di quella realtà analoga è la chiave che sceglie Mario Martone ne L’opera segreta per proseguire il suo discorso sul presente.

E il paradosso è anche la chiave che sceglie Moni Ovadia nel suo Though Roses, concerto-spettacolo al debutto in questi giorni. Il quadro è quello dei lager della Seconda Guerra Mondiale, divisi tra la zona dell’umiliazione e della morte e quella in cui le SS continuano a coltivare rose.

Al debutto questa settimana anche Luca Ronconi. Il titolo del suo nuovo spettacolo è Professor Bernhardi, l’autore Arthur Schnitzler. Qui l’antisemitismo, la discriminazione di un uomo, è la parabola di un sistema che cerca di difende i suoi equilibri. Un testo quasi dimenticato e mai rappresentato in Italia, di cui Ronconi stesso cerca di rilevare l’estrema attualità.

Tra le uscite editoriali segnaliamo Salmagundi, favola drammatica di Marco Martinelli sui campi di concentralento culturale e la stupidità come elemento di controllo. Lo spettacolo, in tournée in questa stagione è diventato un libro in queste settimane grazie a Editoria & Spettacolo. Ne pubblichiamo la prefazione a cura di Tiziano Fratus.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -