Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 35
Dal 06/05/2024
al 13/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Materiali per un Teatro futuro: #10    
     
Un editoriale di Franco D'Ippolito
di Franco D'Ippolito
     

Ciò che non siamo in grado di cambiare, dobbiamo almeno descriverlo.
- Reiner Werner Fassbinder


E' imbecille non accorgersi che il mondo, la società italiana è cambiata e che con essa è cambiato il teatro che si fa e che si distribuisce in Italia. E' andato in una direzione che lo sta impoverendo (in tutti i sensi): per tutti questi anni abbiamo assistito a crisi finanziarie, al diffondersi di un mercato asfittico, di regole non applicate a tutti e di parametri annullati dalla discrezionalità totale del principe di turno; non siamo riusciti ad evitare il corso revanchista dell'Eti, la deriva distributiva dei circuiti, i conflitti d'interesse che governano il teatro italiano, ma nemmeno che sui nostri palcoscenici si vedesse sempre lo stesso spettacolo mediocre e privo di necessità. La ragione più evidente è che da qualche anno nessun teatro, nessun festival, nessuna compagnia ha rimesso in discussione la propria direzione, ma anzi ha chiuso ancor di più ogni possibilità di relazione con il cambiamento al suo interno. Tante competenze, molte professionalità sono oggi ai margini del sistema, forse perché non addomesticabili ed hanno, come si dice, "un brutto carattere", difficilmente accondiscendono, piuttosto sostengono passionalmente l'autonomia del fare teatro rispetto alla politica degli assessori, dei presidenti e dei consigli di amministrazione.

Sta di fatto che il tempo della difesa dei risultati conseguiti (e per molti meritati) si è trasformato nel tempo della sconfitta e fa male riconoscerlo.

"Conosco il teatro italiano molto di più di quanto il teatro italiano conosca me e, scusatemi, ma devo dirvi che trovo il pubblico italiano provinciale. Dopo Strehler il teatro italiano si è impigrito" ha aperto così la sua conferenza stampa al Teatro dell'Arte di Milano Anatolij Vassiliev, e le parole di un Maestro devono sempre far riflettere. Mi capita sempre più spesso di avvertire nel pubblico la "sindrome della risata", quasi che ridere fosse un obbligo, come se la propria partecipazione allo spettacolo si esprimesse così. Ma questo è, a mio avviso, il risultato di un sempre più marcato ammiccamento al facile, al già accettato da parte di quasi tutti gli spettacoli presenti sul mercato, perché il teatro per primo sta rinunciando al rischio, al non ben confezionato, in ragione di un consenso di massa che porti al successo suggellato dalla critica più o meno onesta. Lasciamo andare per questa strada i teatranti dell'intrattenimento, sapendo che se così forse costruiranno il loro futuro, non sarà certo quello il futuro del teatro italiano. Mi piace di più pensare ad una strada mai asfaltata tutta, dove ci si passa perché è bello passarci, anche se non è la strada più breve per andare dove vogliamo andare, dove ci si ferma appoggiandosi ai muri per riposare o per pensare o più semplicemente soltanto per guardare gli altri che passano.

Gli ultimi grandi cambiamenti che il teatro italiano ha prodotto sono, a mia memoria e percezione, il movimento dell'avanguardia teatrale (per dirla con un titolo di un famoso libro di Franco Quadri) e quello del teatro ragazzi. In tutti e due i casi "il nuovo che avanza" ha costruito un mercato in cui sperimentarsi, confrontarsi ed affermarsi: le cantine ed il decentramento il primo, il pubblico delle scuole il secondo. Senza quelle nuove modalità di produzione e di distribuzione, in mancanza di quelle nuove relazioni fra artisti ed organizzatori, ma anche fra spettacoli e nuovi spazi e un nuovo pubblico, forse anche quei cambiamenti sarebbero abortiti, sicuramente non sarebbero mai stati riconosciuti dalle istituzioni.

L'Eti di Bruno d'Alessandro, Oreste Lombardi e Alfonso Spadoni sancì quel "nuovo" con le rassegne Ricerca 1 (21 compagnie a Firenze nel '72) , Ricerca 2 e Ricerca 3 (33 compagnie in 14 città nel '73 e nel '74). Nel 1975 Ricerca 4 si articolò in una rassegna per 12 compagnie in 6 città del nord, un Progetto Toscana in collaborazione con il TRT e una Sezione Speciale a Salerno, mentre al Sud nacque Proposta per un decentramento pugliese (13 compagnie in 15 città) che si ripeté l'anno dopo con Proposta Due per un decentramento pugliese (18 compagnie in 18 città). Organizzando queste due ultime rassegne ricordo bene quante difficoltà ed ostacoli incontrammo, ma anche quali risultati la forza del progetto artistico ed organizzativo seppe produrre in termini di affermazione del nuovo teatro e di insediamento di nuovo pubblico in nuovi spazi che si aprirono per la prima volta al teatro. E la stessa Eti qualche anno dopo in Umbria sancì istituzionalmente con Giovanna Marinelli il riconoscimento del teatro ragazzi che porterà poi allo Stregatto. E sempre in quegli anni l'esperienza del Teatro Regionale Toscano e dell'ATER aprirono al nuovo teatro spazi abbandonati e costituirono il modello a cui si riferirono i circuiti regionali che andavano nascendo in Abruzzo, in Puglia, in Toscana, in Calabria, intrecciando inedite relazioni fra produzione e distribuzione. Il nuovo teatro ha bisogno di quell'Ente Teatrale Italiano (ma anche di quello del Progetto Teatri a Sud nel triennio 1999/2001); di quella capacità dei circuiti regionali di farsi nuovo mercato e nuovo pubblico per garantire spazi di libertà alle nuove generazioni del teatro. Non certo dell'ente "inutile" per la gestione di tipo privatistico dei teatri Quirino, Valle, Pergola e Duse o dei compratori di repliche e ragionieri degli incassi al botteghino che sono oggi la maggior parte dei circuiti regionali.

Sono sempre più convinto che il teatro debba produrre da sé il proprio cambiamento e poi, forte di questo, rivendicare una nuova politica della cultura che sancisca il diritto alla libertà degli artisti (dal mercato dei biglietti venduti), degli organizzatori (dalla intromissione della politica nella gestione delle attività) e del pubblico (di avere curiosità e di scegliere fra proposte diverse). Cosa impedisce oggi al teatro di produrre il proprio cambiamento così da permettergli di confrontarsi da una posizione di forza con le istituzioni? Non mancano gli artisti, né i progetti culturali, ci sono gli spazi ed il pubblico, ma sono ahimé marginali (se non addirittura estranei) al sistema teatrale italiano, al teatro dei decreti ministeriali, al teatro degli stabili pubblici, privati e di una parte di quelli di innovazione, al teatro dei circuiti regionali, al teatro dell'ente teatrale italiano.

Credo che la consapevolezza del nuovo teatro italiano debba farsi largo fra le lamentele e le difese dei piccoli orticelli: dobbiamo saper gestire ed amministrare le imprese teatrali per riportare al centro del nostro interesse il palcoscenico, affinché non sia soltanto quantificata l'attività ma anche concretamente finanziata la creatività. Occorre prendere atto con coraggio e con ragionevole presunzione che alcune esperienze artistiche non possono più dire né dare nulla e che la difesa a priori di tutti blocca il sistema, impedisce il ricambio, marginalizza i nuovi talenti e le nuove professionalità, fatti salvi quei "prodotti di successo" spinti al consumo bulimico e poi abbandonati dagli stessi critici e dagli stessi programmatori che li hanno usati in ogni dove e per ogni quando.

Ho chiesto dalle pagine web di ateatro di incontrarci e parlarci, riconoscendoci oltre la firma elettronica, per sperimentare insieme concretamente fin dalla prossima stagione 04.05 la possibilità di essere noi un altro mercato che consenta e tuteli, promovendo spettacoli e spettatori, il rischio dell'arte teatrale, che sostituisca il marketing del pubblico con il marketing della curiosità per i nuovi artisti, per la nuova drammaturgia, per i nuovi linguaggi dello spettacolo dal vivo. Senza organizzatori che scelgono l'arte del teatro piuttosto che il teatro del botteghino e così rinnovano il pubblico, non c'è futuro per nessuno.

Le parti interessate ad un'altra rinascita del fare teatro in Italia (produttori, distributori, critici, artisti, operatori, comunicatori) assumano su di essi la responsabilità di una "carta del teatro" in cui auto-assegnarsi compiti semplici e precisi. Prima di tutto quello di dare uguale dignità (concretamente vuol dire spazi, risorse, recite, visibilità, promozione) ai teatri più piccoli, alle compagnie più giovani, fuori dagli schemi ministeriali dello sfruttamento attraverso il dare agibilità per fare parametri quantitativi. Nel nostro piccolo mondo di teatranti italiani abbiamo inventato muri di presunzione e di autoreferenzialità tra gli stabili pubblici (i teatri di prima categoria) e gli stabili privati (quelli di seconda) e gli stabili di innovazione (quelli di terza) e poi le compagnie di giro (quelli di quarta) e poi le non sovvenzionate (fuori categoria) per difendere i "feudali" orticelli di ciascuno senza accorgerci che non solo non si coltiva più il radicchio, ma le patate che crescono sono sempre meno e più piccole!

Non restiamo fermi ad aspettare che la politica e le istituzioni facciano per noi: quando il Potere dorme tocca a noi teatranti fabbricare i sogni di cui siamo fatti, come diceva Strehler.

Franco D'Ippolito

P.S. Grazie (nell'ordine di pubblicazione) a Vincent Longuemar per la suggestione della strada Pier Paolo Pasolini, a Mariangela Gualtieri per l'idea di fragilità del nuovo, a Roberto Castello per l'orgoglio di essere antieconomici ed irriproducibili, a Giorgio Rossi per il ricordo prezioso di Leo e di Strehler, a Goffredo Fofi per la necessità di un pubblico non imbecille, a Massimo Paganelli per la saggia follia che ancora lo attraversa, giacchè ho potuto scrivere questo intervento anche perché ho potuto leggere e farmi suggerire qualcosa da ciascuno dei loro precedenti editoriali, come li chiama Gian Maria Tosatti.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -