Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 35
Dal 06/05/2024
al 13/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Materiali per un Teatro futuro: #9    
     
Un editoriale di Massimo Paganelli
di Massimo Paganelli
     

Portare un contributo attorno alle questioni, da sempre aperte, che riguardano il teatro ed il suo farsi e la sua non necessaria "necessità" è di grande difficoltà, persino può apparire presuntuoso, tanta è la babele che caratterizza il dibattito in corso. Il teatro, nel nostro paese, non è mai riuscito ad affrancarsi dall'endemico stato di precarietà cui è stato costretto dall'assoluta assenza di una politica che attenesse alle ragioni della cultura e della sua organizzazione. Appare oggi esserci una situazione, forse non deliberatamente voluta, di cancellare quel non poco, anche se non organizzato e sistematico, che pure questo paese ha saputo esprimere nel campo della produzione artistica. Il teatro, "quel teatro" che più ci piace, appare allo spasimo, sembra non servire più, se mai a qualcosa è servito. Inutile dispendio di energie sembrano essere le possibili terapie, a partire da rinnovati percorsi normativi e regolamentari che possano, in qualche modo, arginare intanto l'esondazione della cattiva politica, e lavorare quindi, più o meno carsicamente, alla costruzione di scenari futuri. Meno inquietanti, confusi e disastrosi. Non solo per il teatro. Ma per la tenuta di un Paese che per definirsi "civile", non può rinunciare alla poesia, al "sentimento". Di conseguenza al teatro che è il luogo, per antonomasia, della poesia e del sentimento.
Sullo stato dell'arte attorno ai regolamenti, alle normative, a ciò che è ed a ciò che avrebbe potuto essere, se ne è scritto, molto ed in molti. Si sono declinati pensieri diversi, spesso tra di loro , opposti, che testimoniano, comunque, la necessità di radicali innovazioni.
Altre, per me, le urgenze, le considerazioni che ritengo più utile provare a mettere in fila.

E', infatti, il fil rouge che ha segnato fino ad ora il dibattito (Hystrio, ateatro, LifeGate, tuttoteatro, etc.) che mi interessa approfondire. Resistere, e contestualmente, provare a fare. Resistere provando nel concreto a far sì che la prassi comportamentale di "quel" teatro sappia, tra simili anche se non uguali, riconoscersi, e provi, pur rimanendo dentro gli schemi ed i regolamenti di riferimento, poiché con questi, qui e ora, si gioca, ad inventarsi percorsi che più attengono alla poesia e meno alle "chiacchiere ed al distintivo".
A partire dalla prima delle considerazioni che non può prescindere dall' occasione perduta: cinque anni di governo del centro sinistra e non è accaduto niente, al contrario, la situazione, già precaria, si è ulteriormente degradata. Errori, sottovalutazioni e incapacità. Da una parte il teatro non ha saputo, né voluto, nonostante reiterati tentativi, ciclicamente all'ordine del giorno, avanzare, in maniera unitaria ed a prescindere dalle poetiche, una proposta sistematica, che desse luogo alle istanze di rinnovamento e che ponesse la "questione" teatro (non si possono avere tentennamenti e false pudicizie) tra le priorità in un paese, il nostro, che lo ha lasciato vivere in stato perennemente emergenziale. D'altra parte, il Centro Sinistra al governo non ha incentivato il dibattito, dimostrando di non conoscere i reali bisogni cui occorreva dare risposte, ha agito come ritenesse marginale il ruolo dell'arte, ha assunto atteggiamenti spesso supponenti, quando non arroganti. Non ha saputo ascoltare ed ha privilegiato l'interesse verso l'evento piuttosto che verso una politica di reale radicamento del teatro nel tessuto, non tanto urbano, quanto in quello dell'immaginazione e della creatività. Personalmente ho da sempre creduto in un teatro che sapesse emozionare ed inventare e non intrattenere, né tanto meno educare, che ponesse domande anziché proporre rassicuranti conferme, che favorisse la naturale evoluzione di processi in atto, cercando di privilegiare la vitalità di un percorso artistico piuttosto che perseguire la riuscita di un singolo evento: ho da sempre creduto a flussi di idee più che a tesi precostituite. Così come ritengo fondamentale ed imprescindibile ragionare, anche quando si parla di teatro, in termini di progetto anziché di programmazione, stagione o festival che sia. Progettare per il teatro significa, questa la mia opinione, progettare anche per la città e per il suo governo. Credo che il teatro, il fare teatro, l'organizzarlo non debba essere pensato come la somma dei lavori compiuti , né per il numero degli spettacoli che possono essere proposti, né, paradossalmente, per misurarne la qualità contando il numero dei biglietti strappati a fine serata. Non penso ci si debba accontentare di contare il numero dei presenti, che è comunque un gran bel viatico e rimane tra i principali traguardi che "quel" teatro deve tagliare, l'interesse di un progetto attiene alla partecipazione consapevole di coloro i quali scelgono di contribuire alla costruzione del percorso progettuale medesimo che ha necessariamente bisogno di un tempo che non si lega all'immediatezza di un evento. Quindi la somma è data da un'idea centrale che attiene alla civiltà che una comunità deve saper esprimere, per mescolarsi, senza confondersi, ad altre occasioni che possano contribuire a tenere alto il tono del dibattito attorno alla cultura, al suo farsi e alla necessità di essere "altri" e più vicini all'obiettivo di restituirci cittadini della polis, senza vergogna. Di un progetto possiamo conoscerne i luoghi di partenza ma abbiamo altrettanta certezza sull'impossibilità di calpestare "tratturi" conoscibili a priori, ed ancor meno abbiamo consapevolezza dei possibili approdi. Dovremmo abituarci alla pratica di una dimensione spesso negletta, quella che riguarda "il di là dal conosciuto": questo ci appare essere il primo tra i compiti cui è chiamato qualsiasi ambito che attiene la ricerca, la sperimentazione, l'organizzazione della cultura. Il cittadino di una qualsiasi città, luogo, che voglia, con la dignità che compete all'uomo, definirsi "cittadino", non può rinunciare alle emozioni, non può prescindere dalla meraviglia e dallo stupore, dall'esser consapevolmente disponibile al confronto, sapendo affrontare il dubbio, la contraddizione, con la semplicità del ragionamento unito al cuore, al sentimento, alla coscienza ed ai suoi flussi. Certo, mi si dirà che tutto questo non può esser lasciato al teatro; altri obietteranno che il teatro, tutte le componenti necessarie al suo farsi, rappresentano una, quasi irrilevante, parte dei bisogni dell'uomo contemporaneo. E' vero. E' senza dubbio così. Il teatro non può esser considerato un bene primario. Ma è pur vero che il teatro è: emozione, meraviglia stupore, dubbio, contraddizione, ragionamento e cuore, sentimento e coscienza. E', in definitiva, la declinazione di un alfabeto di cui il mondo, questo che oggi viviamo, ha un bisogno estremo. Un alfabeto facile da apprendere se solo si riesca a rompere il velo della vergogna e la pigrizia intellettuale. Come tutti i processi di apprendimento, ha l'urgenza del "sostegno", mancando il quale, nemmeno ha inizio, e quando lo ha può, se non convenientemente sostenuto, deperire e morire. Per quel che mi riguarda ritengo che il sostegno non può che essere pubblico. Danaro pubblico e molto di più di quanto sino ad oggi non sia stato investito. Parlo di INVESTIMENTI e non di spese. E già sarebbe una piccola rivoluzione se la politica cominciasse a praticare nel concreto questa parola. Ritenere la cultura, nella fattispecie il teatro, non una spesa, al contrario, una necessità. Più necessaria degli immondi spettacoli cui siamo costretti, nostro malgrado, ad assistere ed a subire quotidianamente, peggiori degli spettacoli di giro, dove comunque vige la stessa regola, lo scambio. Io do una cosa a te, tu dai una cosa a me dove troppo spesso le merci che vengono scambiate sono così tanto marce da ammorbare l'aria. Ecco perché il teatro, quando riesce ad esser vero, è necessario oltre il teatro. Qui poco ci "azzeccano" il FUS, il decentramento, la devolution, l'ETI, l'AGIS, gli Stabili e l'innovazione, i circuiti, più o meno organizzati, il mercato. Si tratta di ripensarlo, il teatro. Ripensarlo mentre proviamo a concimare tanti piccoli campi, tra i quali quello che deve appartenere al teatro, nuovi che si ritagliano comunque sui vecchi, dei quali è fondamentale mantenere l'humus, la saggia pazienza della terra, la sua storia, le sue tradizioni. Forse allora potranno esserci condizioni che favoriscano, non solo la ripresa di un dibattito sulle teorie, sulle poetiche, comunque necessarie, ma la piena consapevolezza di una necessaria, ineludibile dimestichezza quotidiana con la cultura, il teatro, il suo farsi. Occorre scrivere nuove regole, occorre saper distinguere la qualità dell'arte, dall'artigianato e dal dilettantismo. Sarà più facile se sapremo tornare ad esser "partigiani", scegliere una parte e per quella batterci.

"Contro tutto questo non dovete fare altro che continuare ad essere semplicemente voi stessi: il che significa ad essere continuamente irriconoscibili. Continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi con il diverso, a scandalizzare, a bestemmiare."
PierPaolo Pasolini. 1975.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -