Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 35
Dal 06/05/2024
al 13/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







Mandaci una mail ›







Per acquistare online i biglietti dei teatri a Milano:
Ciak
Smeraldo
Nazionale

La tortura del silenzio    
     
Editoriale d'Emergenza
di Gian Maria Tosatti
     

"Mi scuso profondamente". Queste parole di Donald Rumsfeld, dopo essersi attribuito la responsabilità delle torture in Iraq, soddisfano il segretario generale delle Nazioni Unite.
Quel Segretario che, si auspica, dovrebbe gestire il passaggio di consegne dei poteri dalle mani americane a quelle irachene nell'ex feudo di Saddam Hussein.
Comprendiamo, ci mancherebbe. Comprendiamo che le ragioni della politica internazionale impongono da parte dei deboli una diplomazia al limite del paradosso.
(Sarei tentato di usare la parola "vinti" più che "deboli", perché in fondo la guerra si è combattuta tra le istituzioni garanti del diritto internazionale e un manipolo di cani da guardia degli interessi di un Paese dall'economia egemone).

Scriveva Simone Weil: "Gli uomini d'azione [...] con le armi costringono gli altri a sognare i loro sogni. Il vincitore vive il proprio sogno, il vinto vive il sogno altrui".

Lo scrive in una tragedia incompiuta in cui alla fine, l'eroe perfetto, Jaffier, tradisce tutti, tradisce i compagni congiurati, invincibili sulla carta e nei fatti, e gli amici, per pietà di una città che inerme dorme nell'imminenza della distruzione. E per questo è perfetto. Perché si oppone al sogno dei vincitori e gli preferisce la realtà. Alla fine sono quegli uomini forti ad essere torturati dalla Repubblica della Serenissima.

Non ci auguriamo tanto. Che i torturatori vengano torturati. Ma che un qualche Jaffier si svegli nelle alte sfere, non solo nelle camerate di un battaglione. Che quel Jaffier non porti solo il nome del soldato Joe che mette biglietti di denuncia sotto la porta dei propri superiori, che rivela l'esistenza di foto-choc. A rischio certo di prender sulle spalle il disprezzo che si deve ai traditori.

"Mi scuso profondamente". Dovrei essere più preciso, ma credo che negli atti del processo di Norimberga questa frase sia ricorsa più volte, ma non credo che alcuno si sia dichiarato soddisfatto. Ciò autorizza un lettore a prendere atto che la violenza dei vincitori è di peso ben diverso da quello dei vinti. Che la tortura sia valutata secondo il soggetto nazionale che la compie e non secondo l'essere umano che la subisce. Però qui i conti non tornano, perché io, come altri lettori di giornali, non voglio prendere atto di questa oscenità. Non voglio e reclamo per iscritto! E do del Nazista a chi non ha neppure la decenza di annegare nell'ombra delle dimissioni la propria condotta criminale contro l'umanità. E non riconsco il valore etico di una diplomazia internazionale debole che non insorge, ma anzi si dichiara soddisfatta.

Il precedente c'è e data 1924. Alla Camera dei Deputati un certo dittatore italiano (perché tutto questo non accade solo in quache precaria democrazia latinoamericana), si attribuiva la responsabilità di un omicidio politico (e nell'Iraq attuale di omicidi, tutti politici, se ne hanno a volontà) e non si dimise, ma in virtù di quella "legittimazione" proseguì con maggiore forza la propria azione illiberale. Oggi di chi non si oppose a quell'abominio facciamo presto a denunciare il vile silenzio o peggio ancora il concorso di colpa nei fatti che succedettero a quei giorni. Oggi chi non si oppone a questo abominio, in cui il capo del Pentagono non si dimette dopo essersi attribuito la responsabilità di torture contro prigionieri, di qualsiasi nazione o credo essi siano, deve considerarsi complice come se egli stesso avesse partecipato a quei crimini, perché col suo silenzio li copre.

Aggiungo luoghi comuni in questa pagina, ma il fatto è proprio questo, che la denuncia di atrocità ideologiche (tradotte peraltro in sevizie fisiche) oggi sia un luogo comune. Che non sorprenda più nessuno, che queste parole siano state dette più e più volte, scritte su giornali, libri e profezie. Che siano state agite sui palcoscenici di una nazione come questa, che si dichiara più fedele alleata degli Stati Uniti in questa impresa brancaleonica (un'altra!) e poi nega di esser stata a conoscenza dei dossier sulle torture. Torno alla "Venezia salva" di Simone Weil. All'agonia di Jaffier, alla sua vergogna perfetta. E penso che se la guerra è altrove allora si denunci "quella" guerra, che si combatta apertamente, che la si porti sui suoi territori naturali. Perché traslarla sul piano internazionale fino ad una macchia mediorientale è una tortura a sua volta. E' uno stillicidio che non mette fine a nulla e ci insiste nell'onta di doverci dichiarare soddisfatti per voce dei nostri "portavoce".

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -