Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Materiali per un teatro futuro: #7    
     
Un editoriale di Goffredo Fofi
di Goffredo Fofi
     

Ci sarà davvero un futuro? E' questa la prima domanda da porsi. Il teatro del futuro dipende dal futuro del mondo. Sul quale è legittimo avere dei dubbi a non grande distanza.

Inoltre: il mondo cambia assai più velocemente di quanto non vogliano i nostri bisogni di consolidamento delle esperienze e di tranquillità degli animi. Il mondo cambierà, il teatro cambierà.

Tutto è più precario, oggi rispetto al passato, anche se i modi di vivere cambiano più rapidamente dei modi di poetare. L'attuale tendenza - che si spera non duratura - è la seguente: il soffocamento delle esperienze più vive del teatro detto "di ricerca" a opera del teatro "di prosa" e "di regia", con ritorni perfino paradossali agli anni Cinquanta. Infinite rivisitazioni di Pirandello, Shakespeare e perfino, in chiave iperprosastica, del povero Beckett, ultima vittima della piccola schiera dei "drammaturghi dell'obbligo". Varianti colte e scolastiche o incolte e rozzissime. Trionfo del "Garinei & Giovannini - pensiero", corretto con una pervicace vocazione "pedagogica": tutto deve essere "narrato" in modi comprensibili e tutto deve divertire.

Lo spettatore unificato (la piccola borghesia alfabetizzata e benestante e i suoi rampolli da "scienze della comunicazione") vuole capire e divertirsi. Si sente padrone, impone la sua logica, che è, pensa lui, "democratica". Come pensano soprattutto gli abominevoli assessori alla cultura nemici del bene e del bello in nome del consenso politico-pubblicitario. Il loro "coltivatevi" è la conseguenza dei prioritari "consumate" e "acconsentite".

Questo il pensiero dominante, questo il quadro dell'oggi. C'è ancora spazio per gli Alieni, se sono abbastanza forti e bravi da imporsi all'estero e ai festival. Ma si contano sulla punta delle dita i gruppi di vera e necessaria originalità. Il teatro del futuro - un futuro molto prossimo - li vedrà alle prese con difficoltà sempre peggiori, con assessori sempre più tremendi, con un pubblico sempre più imbecille. Cosa resterà di loro, o ai "nuovi"?

Adeguarsi - come già fanno quasi tutti con molta voluttà - producendo divertimento paratelevisivo, imbonimento parapubblicitario, pedagogia imperial-capitalista (e se di destra, centro o sinistra cambia in genere assai poco, nelle "politiche culturali"). Oppure scendere nelle cantine, di nuovo e definitivamente, per inventarsi un pubblico di simili, trasmettere "da pochi a pochi", servire il bello, il giusto, il vero. Senza vergognarsi di essere semplici o di essere complessi, a seconda della propria ispirazione e della propria natura. Comunicare davvero, tra pochi e non alla Alberto Abruzzese, alla Silvio Berlusconi, alla Walter Veltroni, alla Giuliano Ferrara. Questo è quel che ci aspetta. Estote parati.


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -