Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Materiali per un Teatro futuro: #2    
     
Un editoriale di Vincent Longuemare
di Vincent Longuemare
     

Anni fa, allora giovane studente di una scuola di teatro, assistetti, incredulo, ad un convegno teatrale il cui Tema era: "Il movimento nel teatro, il teatro in movimento". Seduti al centro del tavolo, stavano due personaggi che potevamo individuare come "importanti" grazie alla posizione centrale che occupavano, ma sopratutto per la corte che li circondava. Sembrava che l'aria di ogni loro spostamento meritasse di essere respirata. Conferivano all'aria una grande teatralità. La loro presenza sembrava dar luogo ad una vera e autentica messa in scena, che si inventava nel corso degli eventi, e della quale era impossibile discernere se essi ne fossero gli autori, o semplici attori coscienti di un lavoro collettivo di regia.
Una sola cosa era certa: non erano vittime. Entrambi sembravano molto felici di questa nuvoletta di teatralità che le seguiva, goffa ma precisa, e tendendo al rituale, sorridevano forse d'aver in così poco tempo riunito la pura tradizione di commedia all'italiana e gli accenti della ricerca più intransigente. E (cosa che non avrebbero mai sognato): il palcoscenico era nella vita stessa.
Si chiamavano Eugenio Barba e Jerzy Grotowski.
Fu allora che sentii per la prima volta: LA FRASE!

"NON SO COSA SIA IL TEATRO, MA QUANDO LO VEDO LO RICONOSCO!"

Non potei che acconsentire, avendone appena fatto l'esperienza!

Non so se questo "riconoscere" sia lo stesso a cui ricollegava il suo pensiero Pasolini (vedi prologo di"Materiali per un Teatro futuro" NdR). Quello che è certo è che il Teatro raggiunge maggiore credibilità quando è del tutto incredibile.

Liquidata, cosi, la necessità di un quadro teorico, con tanto di profitto per l'empirismo, potei immergermi nella pratica con un assioma ben preciso: individuare le condizioni perché esista (un) teatro e sviluppare gli strumenti adeguati a tali condizioni.

Adesso stringerò sul quadro italiano, dove non esiste "il" Teatro, ma tanti Teatri, riflessi individuali sviluppati in un ambito feudale.

Ogni generazione si è chiesta e si chiederà "quale teatro per il futuro", in altre parole quale il Teatro che si debba fare oggi? Ogni generazioneha lanciato le sue domande e ha trovato risposte: chi nella strada, chi negli usi e abusi, chi nella società, o ancora la critica della borghesia, chi nel contesto socio/politico del suo tempo.
Oggi chi fa le domande? Singole persone o gruppi schiacciati dallo Status Quo imposto da vari regni feudali, orientati a mantenersi in vita, in pianta stabile, e organismi di auto-ridistribuzione delle risorse.
Non ci sarà risposta.

Fin quanto gli artisti, gli organizzatori, i produttori, i tecnici non si percepiranno come categoria sociale, all'interno della quale individuare interessi e doveri comuni, non ci sarà risposta, non ci sarà teatro del futuro.

Fin quando non ci sarà un ministero di tutela e degli organismi validi di dialogo.
Non ci sarà Teatro del futuro
Fin quando non ci si preoccuperà di costruire edifici adatti alle esigenze dello spettacolo moderno e a ristrutturare dignitosamente edifici esistenti.
Non ci sarà Teatro del Futuro
Fin quando non ci saranno scuole riconosciute da diploma nazionale e non solo ruoli auto-inventati,
fin quando si imparerà solo in negativo: cioè da quello che non c'è
e non in positivo: ovvero da una trasmissione del sapere ed dell'esperienza.
Non ci sarà futuro per il Teatro.

Eppure c'è,
come a testimoniare una vitalità e necessità di queste generazioni, costrette ad inventare condizioni e strumenti di sopravvivenza (non di vita però!).
Esiste già (il futuro), in tante realtà. Sopravive in piccole nicchie con scarsa visibilità, perlopiù all'estero, vendendosi, o più radicalmente emigrando, in tutte le sue categorie di lavoratori: danzatori e coreografi, attori e registi,compositori, scenografi, disegnatore luce e tecnici delle varie competenze.
Daltra parte il problema non può essere individuato in un'ottica statalista, quando in Italia esiste una categoria di autentici imprenditori culturali, che invece di investire in cravatte o divani, hanno scelto di investire in cultura.

Esiste a Palermo, nei paraggi del palazzo di Giustizia, lontano dai Corso Garibaldi o Corso Cavour, di patriottico tracciato, una stradina intitolata a Pier Paolo Pasolini. Non conosco la storia di un tale privilegio accordato (ottenuto forse a seguito di una feroce lotta in consiglio comunale, o al contrario per una unanimità ritrovata), per cui quella è stata ritenuta la stradella giusta. E' una leggera discesa rettilinea, in pendenza in mezzo a palazzine anonime di architettura demo-cristiana. Vi è un lungo muro sulla sinistra dove piace immaginarsi ragazzi seduti, le gambe per aria, in quella leggerezza che lascia affiorare inquietudine. Ci sono ritagli di natura abbandonata sotto le palazzine. (Credo che gli sarebbe piaciuta! Questa poesia violenta nelle pieghe della vita).

Credo sia, questa la strada del teatro futuro: una stradina dove l'intelligenza prende fuoco, si accende, e brucia nella desolazione più assoluta.
In una mera concretezza, dei conti da fare ogni giorno, lontani da qualsiasi ideale o utopia e per questo dentro fino al collo.


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -