Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 34
Dal 29/04/2024
al 06/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Il grido e la preghiera.  
La trilogia: #1 – Chioma      
Bari, novembre 2000
di Gian Maria Tosatti
     

Entra come un idolo preistorico, stremata da infinite resurrezioni, Chioma. Entra come una pantera, col suo segreto animale, nella gabbia-scena. Esposta nella sua o-scenità. Spogliata della tragedia e della storia. Mollusco denudato del tempio. Svelata nella crudeltà di un circo dello spirito. Derisa come una vecchia, collerica, barbona. Udita dalla commozione di una solitudine, del silenzio. Spettacolo per spettatore-individuo.

Una lunga invocazione salmodiata che rifiuta la narrazione, è questa del Teatro Valdoca, che porta per titolo il nome dell'entità monologante che la anima: Chioma. Dalla sua bocca memorie di voci di antenate, echi di Ilio in cenere, invettive terribili e parole dolcissime. Dalla sua bocca tre lingue, una solenne, una equestre e una terragna, percorrono forsennate discese ed ascensioni lungo un cammino di trasformazione e purificazione che affonda in una spirale catartica e supera il suo punto limite rovesciandosi nel suo opposto, liberando i demoni, le inquietudini, le reazioni.

Benedetta voglia di reagire a ciò che evoca Chioma, alla sua ennesima nascita, figlia di innumerevoli figlie, al suo grido di dolore, alla sua bocca spalancata da cui esce un urlo muto in cui s'ode l'eco dei proiettili, delle bombe. Lotta contro te stesso e il male che sai generare. Nomina L'amore. Così di fronte al confronto spietato con la nudità dell'archetipo in figura di divinità fragile, oracolo apocalittico in disequilibrio, attraversato dal male, si resta per poco abbagliati, straniati dalla sua potenza "rugghiante", finché ci si rende conto che siamo davanti a qualcosa che parla con una lucidità agghiacciante, con la lingua della carne, della paura che giorno dopo giorno ci viene allontanata nella progressiva atrofia indotta delle nostre menti. Bisogna aprire altri due occhi per capire d'esser stati condotti dentro la struttura del reale, dove ogni cosa è labile e dove una parola allora ha la forza di una formula. "Amore che sei il mio destino / insegnami che tutto fallirà / se non mi inchino alla tua benedizione".

E' un testo quello di Mariangela Gualtieri, cui si può dar voce unicamente affondando nel suo abisso fino all'origine per poter abitare la sua ossessione, la sua carne di scatto, la sua gravità trasformandolo in levità istintiva, spiazzante. Così non solamente detto è dalla sua interprete Gabriella Rusticali, ma trasformato in emanazione di un processo organico di inspirazioni ed espirazioni, che insieme innescano ed ammansiscono la bruciante dinamica linguistica, trovando nello spettacolo lo spazio dell'esperienza reale. Rende possibile tutto questo la pazienza dell'ascolto che caratterizza la regia di Cesare Ronconi, che con precisione e sacrificio tesse gli elementi della scena come trame d'una preghiera che, anche grazie all'esemplare lavoro di scomposizione e ricomposizione del suono operato da Tiziano Popoli, fonde il mistero di sacralità agresti allo sventramento essenziale di un rito della polvere celebrato nella selva urbana di città distrutte.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -