Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 36
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Un gioco già visto.  
All’India di Roma, l’Alcesti di Raboni non convince.      
di Gian Maria Tosatti      

Dell’Alcesti, Raboni estrapola il nucleo tragico innestandolo nella cornice di una minaccia vaga e concreta a un tempo, con chiare rifrazioni dalla storia del Novecento (si parla di stadi o velodromi dove i persecutori ammassano i nemici del regime). Così, in un vecchio teatro, un padre, un figlio e sua moglie cercano di spartirsi i due soli posti disponibili per la fuga. Alla fine sarà la donna a sacrificarsi. Il tema amaro è quello dell’uomo di fronte alla libertà (di scegliere).

La lucidità con cui tale discorso è condotto, risulta, tuttavia, in parte offuscata nella resa scenica. A cominciare dalla semplicità con cui Raboni tratta il gioco metateatrale. Suggerire il mito di Alcesti ambientando la fuga dei rifugiati in un teatro dove anni prima una di loro debuttò appunto in quella tragedia risulta didascalico. E i rimandi, le sottolineature di questo parallelo, filtrano la dinamica della tragedia indebolendola. E se il gioco appare un po’ “retrò”, lo stesso può dirsi per la conduzione del ménage à trois che obbedisce più ai modi del dramma borghese del secolo passato che alle direttrici tragiche.

Ma qui l’aspetto più criticabile riguarda la regia di Cesare Lievi, legata, sul piano del disegno spaziale e su quello espressivo-sintattico della parola, a un teatro che oggi non ci somiglia più.

Tornando al testo, si dirà che i limiti sembrano determinati dall’aver scelto la forma teatrale per quest’opera, la cui traccia letteraria si dimostra di fatto efficace ed interessante nello sviluppo di una meccanica relazionale nuova per il mito di Alcesti. In ciò sta il principale contributo della riscrittura raboniana. S’aggiunge al rapporto sacrificale tra sposo e sposa quello tra padre e figlia in una triangolazione fitta di complesse implicazioni psicologiche e di reciproche compromissioni, in cui si rivela con asprezza l’istinto umano alla sopravvivenza.

Il problema è che tali meccaniche si caricano di farraginosità, in un testo che sceglie di dire tutto, dimostrando la palese sfiducia di Raboni verso il silenzio o le pause, che sono piloni strutturali dell’architettura drammatica. E anche nel finale, conservando la salvezza deus ex machina dell’eroina, Raboni sembra contraddirsi dopo averci dipinto un mondo senza dio né pietà. Ma qui il sipario si chiude senza che ci vengano dati chiarimenti.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -