Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 36
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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L’equazione per il centro  
Torna il Italia Ta main dans la mienne di Peter Brook      
Prato, Teatro Metastasio. Dal 23 al 27 febbraio.
di Gian Maria Tosatti
     

Anni fa un amico e per certi versi maestro, in una conversazione tra il formale e l'informale disse una frase che quasi suonò a sproposito, una frase difficile da collocare nel contesto del discorso. Ma a volte le parole sono dette per essere ritrovate in futuro. Disse: "Dopo un periodo difficile l'influenza di Peter Brook è stata determinante. Alla mia domanda sul perché fare spettacolo, il suo lavoro ha risposto, tranquillizzandomi, che si può raccontare una storia in modo che lo spettacolo sia per te un'esperienza reale. Questo si può avere dallo spettacolo, non bisogna chiedergli di più. E' già tanto".

Vedevo Ta main dans la mienne al Teatro Argentina, ultima creazione del regista anglo-francese e ripensavo a questa frase. Pareva che lo spettacolo non ci fosse, non ci fosse uno spettacolo. Qualcosa accadeva, qualcosa di reale e di interessante.

Penso da tempo che il maggior pregio di un opera d'arte quello di scomparire. Di scomparire in quanto tale. Si assiste o si partecipa a qualcosa di non chiaro, qualcosa cui non si sa dare nome come non lo si dà agli eventi della vita alle fugaci emozioni che scivolano sotto i polsini della camicia, sulle tempie. E una volta passato è nella trama delle esperienze che va a tessere il suo ricamo indelebile.

Spesso questo strano miracolo accade senza che ve ne sia la coscienza. Accade e basta, per caso, per paradosso, appunto come quelle imprecisate emozioni.

Tuttavia si può cercare di osservare il fenomeno, rincorrerlo per una vita, combatterci, domarlo, renderlo replicabile. Dominare tale miracolo attraverso la tecnica. E' la strada dei grandi maestri del Novecento, da Grotowski, a Carmelo Bene, a Peter Brook appunto. Così non si può dire di Ta main dans la mienne quello che si direbbe per uno spettacolo qualsiasi, indipendentemente dal valore. O meglio se ne potrebbe anche dire in questi termini, ma non si andrebbe oltre la descrizione di un meccanismo di estrema precisione.

Così come si potrebbe definire il lavoro di un grande artigiano, un artigiano molto vecchio, nella cui manualità si esprime il miracolo stesso di una vita.

Analizzare la fattura non è poi così importante. Quel che conta è la coscienza dello stupore. Del trovarsi di fronte a qualcosa che apparentemente non sembra aver nulla di stra-ordinario, e che pure, misteriosamente, riesce a diventare epifania.

Due attori sempre in scena, un grande Michel Piccoli e una altrettanto brava Natasha Parry, uno spazio quasi vuoto, movimenti ridotti al minimo, luci apparentemente fisse, nessuna sorprendentemente vocalità e una drammaturgia arrampicata su un epistolario quasi irrilevante. Tutto questo per togliere, togliere tutto, tutti gli abbellimenti, le sovrastrutture, le impalcature che di norma tengono in piedi uno spettacolo contro la gravità. Togliere tutto quello che ormai non serve più quando è "la gravità" stessa ad essere ammansita e posta sotto controllo. Ecco in questo semplice dialogo, il valore che ci lascia un'impronta, sta nella capacità di aver trovato il quel centro di ogni opera che sta necessariamente oltre l'opera stessa.

Per informazioni: www.metastasio.it

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -