Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 36
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Visioni dai linguaggi dei gruppi.  
Dossier AKSÈ: #3 - L’oggetto in questione.      
di Lorenzo Donati      

Cerchiamo di avvicinarci maggiormente all’interno dell’allenamento di sala di Aksè. Proviamo a tracciare una piccola rassegna, portando un esempio per ogni compagnia, di quelli che sono stati i contenuti performativi e attorici sui quali si è giostrato lo scambio. Al termine di ciascuno, riportiamo alcuni passi delle feconde “conversazioni estetiche” che hanno accompagnato i gruppi nei sei giorni di lavoro. In alcuni casi si è scelto di indicare solamente la compagnia da cui proviene la riflessione. In altri, essendo in ballo una forte componente di pensiero personale, abbiamo deciso di indicare nome e cognome di chi ha proferito la frase.

CORO (Marco Valerio Amico, Enrico Caravita, Edis Livnjaik, Alice Lucci, Marco Maretti, Rocco Antico, Matteo Timo)

La modalità di lavoro proposta dal gruppo ravennate si basa su uno dei principi di indagine che sta alla base del loro percorso: “Solo”. Indagare le componenti che concorrono nel rendere l’individuo un oggetto scenico con luce propria. Si tratta di attraversare lo spazio e contaminarlo tentando di azzerare ogni significazione. Eliminare ogni connotazione superflua (nel movimento, nella voce e nell’uso di materiali drammaturgici). Una volta afferrata la sostanza, tentare di risalire a una complessità, in modo che sia visibile un progetto performativo di fondo. Utilizzare la parete con le vetrate come se fossero, contemporaneamente, specchi, vetrine, schermi televisivi. Tentare di tenere presente, dunque, che c’è qualcuno che guarda. Provare a indirizzare in tal senso l’impiego di energia. Vita di Galileo di Brecht è lo spunto testuale che fa vibrare le corde vocali dei ragazzi di Coro.
È evidente, dopo questa prima rottura del ghiaccio, che stiamo affrontando il problema dei codici personali di ciascun individuo.
Quando ci troviamo a far i conti con la creazione e con le proposte di ognuno, corriamo il rischio di venire limitati dai nostri linguaggi, dai nostri strumenti personali
. (Coro)

Io avverto una sensazione di estraneità, un disagio. Avverto che stiamo tentando di inserirci in un lavoro che non è il nostro, e questo provoca un freno, la sensazione di un’intrusione. (Vagamondi)

Provare una sensazione di disagio è del tutto normale, anzi, direi che è necessario… è il sintomo che sta nascendo qualcosa, o almeno questo è quello che ci è capitato in Coro. (Coro)

Su questo siamo d’accordo… credo che sia il caso di andare avanti in questa direzione, tenendo presenti le difficoltà, radicalizzarle, giocarci sopra, acuirle per vedere che succede. (Vagamondi)


VAGAMONDI (Maria Costantini, Elisabetta Gambi, Samantha Turci)

Conoscere lo spazio. Entrare in esso per proporre un proprio “viaggio”. Progetto personale che tiene presente le altre persone, evita di ignorarne la presenza ma non vi interagisce in modo marcato. Dopo una prima fase di ascolto, continuare l’allenamento fisico senza mai uscire dallo spazio. Per un ora e mezzo è vietato uscire: stare fuori scena non è previsto. Utilizzare tutti i sensi per modificare il viaggio mentre lo si sta compiendo. Lo spazio si trasforma durante il tragitto. Solitamente si effettuano viaggi con un tema (paura, solitudine, apertura, gioia ecc) ma in questo caso, informa Vagamondi, ognuno si costruisca il suo personale. Vagamondi sceglie deliberatamente di non fornire indicazioni troppo precise.
Arrivati a questo punto mi interessa porre all’attenzione di tutti un quesito: come siamo entrati nel lavoro collettivo? In che modo ognuno di noi ha messo del suo nel meccanismo performativo? Per quanto mi riguarda, il mio obiettivo non era mostrare il lavoro di Nanou… non è questo l’interesse primario della settimana. (R. Bracci)

Io mi sento in forte disagio. Per come sono abituato a lavorare io, mi si presenta sempre una doppia possibilità nell’affrontare un nuovo progetto performativo: o si decide di investire totalmente le proprie energie fisiche e mentali, oppure si rimane totalmente all’esterno. In questo esercizio, invece, mi sono sempre trovato a metà strada. Lo spazio, a mio modo di vedere, era un mero affastellamento di “autismi” individuali, di procedimenti isterici. (M.V. Amico)

In effetti, nell’esercizio che vi ho proposto, era presente una forte componente di ricerca finalizzata solo al movimento del corpo. In questo modo, e qui si tratta di una difficoltà che sento anch’io in queste situazioni, si rischia di azzerare troppo, arrivando a un ascolto fine a sé stesso… (M.Costantini)

Mi pare che una possibile via d’uscita, come ci siamo detti ieri, è nominare questa “ruvidezza”, questo stato non armonioso… anche se non sto affrontando il mio percorso, anche se quello che faccio non mi piace, cerco di vivere questa situazione e farla divenire produttiva per il lavoro di tutti. (E.Caravita)


REGGIMENTO CARRI (Roberto Corradino)

Viene formato un cerchio, dove i performers si accomoderanno su sedie opportunamente predisposte. Tentare di mantenere la schiena eretta, ricercare una certa “comodità performativa” pur nella semplice posizione seduta. Lo scopo dell’esercizio, che Corradino sottolinea essere molto basilare quasi banale, è trasmettere a livello fisico ciò che si sta visualizzando nella mente. Con tutti seduti e a occhi chiusi, Reggimento Carri si pone al centro del cerchio e guida gli altri tramite indicazioni vocali (es: “scendete dal vostro letto, percorrete la stanza… uscite dal portone e andate a destra…” ecc). Il culmine del lavoro giunge nel momento in cui si domanda ai partecipanti di spiccare il volo. Solo a questo punto, essi dovranno provare a trasferire la sensazione che stanno provando a livello corporeo. Se ci si rende conto di “mimare” troppo, arrestarsi. Corradino studia attentamente le reazioni di ognuno. Fine dell’esercizio. Gli attori vengono invitati a riaprire gli occhi e si pongono loro una serie di quesiti. Cosa avete provato? Vi vedevate in “terza persona”, come dall’alto? Vi è piaciuto?
Per quanto ho capito io, pur essendo arrivato solo ieri sera, (Martedì 25 gen, ndr) il mio metodo parte da un procedimento opposto rispetto a voi Nanou. Mi piace usare una metafora. Sappiamo tutti che le “cattedrali” sono già state edificate. Anche io ne sono consapevole, eppure mi metto a ricostruirle a modo mio, per vedere se è possibile fare scaturire nuovamente quell’energia. Ricerco nel già depositato, tento di risalire a una possibile natura partendo dalla cultura. Questo è il mio punto di entrata, che mi sembra opposto rispetto al vostro. Voi vi muovete dall’azzeramento verso la costruzione di un linguaggio, dalla natura alla cultura. (R. Corradino)


GRUPPO NANOU (Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci, Roberto Rettura)

Utilizzo dei suoni
Alla consolle Roberto Rettura. Una figura sola che riunisce un fonico, un dj e un sound designer. Se lo spazio performativo si costruisce assommando le proposte dei gruppi, ancor di più questo è valido per i suoni di gruppo Nanou: si tratta di una camera sonora che concorre, tanto quanto l’azione performativa, a creare le immagini per gli spettatori. Oltre alla postazione con computer, mixer e riproduttori cd, il suono può sgorgare da due microfoni sparsi nello spazio. Rettura invita tutti a utilizzare lo “strumento microfono”, a considerarlo alla stregua di una parte del proprio corpo. Il rumore di una penna che scrive, le pagine di un libro che si voltano e altre sonorità concrete di questo tipo vengono catturate tramite i microfoni, memorizzate e riprodotte nella drammaturgia sonora di Nanou. Anche la voce degli attori subisce lo stesso trattamento. Ogni tipo di suono, in virtù di questa manipolazione, può acquisire vita propria. Rettura ha la facoltà di togliere l’audio ai performers, se la sostanza che esce dal microfono non lo convince. Così come può intervenire sulle azioni inserendo suoni registrati in precedenza (per esempio: “Sparisci”, registrato dalla voce di uno degli attori e inserito in proposte performative che riteneva poco valide).
Sarebbe interessante se il pubblico di Aksè si comportasse come chi assiste a un concerto affollato, o come chi va in discoteca: sentirsi liberi di assistere allo spettacolo, ballare, scambiare qualche parola con gli amici o andare a bere una birra… dovremmo riuscire a creare un contatto reale con il pubblico. (Nanou)

La questione delle onde sonore, e della loro trasmissione, ci può aiutare in questo. Per esempio, i cosiddetti “sub”, le casse che trasmettono le onde di bassa frequenza, creano uno “scuotimento” fisico in chi li ascolta. Non è solo una questione di suono, c’è qualcosa che si smuove anche all’interno del corpo… avvicinarsi a questo scuotimento dello spettatore-ascoltatore, tramite l’azione performativa, sarebbe già un grosso risultato. (Nanou)

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -