Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 36
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Le due città  
In Through Roses e Ah! Odessa la città della morte e quella della vita nella voce di Moni Ovadia.      
Parma, Teatro Due. Dal 18 al 20 gennaio.
di Gian Maria Tosatti
     

La rappresentazione tragica della Shoah ebbe il suo coro: l’orchestrina del KZ. Il piccolo e sgangherato gruppo musicale subì il paradossale destino di essere simultaneamente testimone e vittima. I suoi musicisti furono sottomessi ad un crudele privilegio: fare musica per‘celebrare’ il dolore e la morte e per il godimento dei becchini. Quell’orchestrina rappresenta per me la condizione umana da cui trae senso il teatro che cerco. La memoria musicale dei campi risuona con un sentimento irrinunciabile e profondo, dei sopravvissuti, mio e di quelli come me, sopravvissuti postumi.
Moni Ovadia

Qualcuno ha detto che nella musica Yiddish si specchia l’anima e il respiro dell’Europa. E probabilmente è vero. I suoni dolci o festosi dei violini e i clarini ebraici hanno raccolto nelle secolari peregrinazioni europee motivi e echi da molti paesi e da molte tradizioni. Quella musica allora, inconfondibilmente simbolo di un patrimonio culturale preciso, è anche il punto in cui si incontrano e si fondono le culture.

Non erano passati che pochi anni, poco più di un decennio, quando Grotowski realizzò il suo Akropolis, spostando l’azione del dramma di Wyspianski dalla Cattedrale di Cracovia al poco distante lager di Auschwitz. L’impatto scioccante sulla Polonia post-bellica che contava i suoi morti, deturpata dagli orrori, con le sue città rase al suolo e intere generazioni falciate dalla macchina nazista, fu determinato dal ricorrere di una frase che in quello spettacolo reggeva l’intero impianto di senso: “Cimitero delle tribù”. Ad Auschwitz sono morti uomini da tutta Europa, italiani, bulgari, ungheresi, greci, polacchi, ebrei, omosessuali, zingari, delinquenti comuni, prigionieri politici. In un libro di Jaques Stroumsa, anch’egli violinista nell’orchestrina del campo di Birkenau, si insiste nel sottolineare i paradossi dei lager, dove si veniva uccisi per una ferita ad un dito, ma si veniva operati per un’ernia, dove si compivano esperimenti sugli esseri umani e dove i direttori dei campi coltivavano rose.

Non c’è una musica che sia in grado di poter raccontare squarci di questo paesaggio, come la musica Yiddish. E molte sono le storie che la identificano come la voce più profonda della disperazione o della disperata vitalità degli uomini passati attraverso la Shoah.

A questo scenario tragico si riferisce Through Roses, che questa settimana debutterà al Teatro Due di Parma, in una forma di recital concerto orcherstrato da Moni Ovadia e Pavel Vernikov.

Il concerto però si divide in due parti. E se la prima racconta una delle pagine più oscure della storia dell’umanità, la seconda si cala, quasi fosse un controcanto, nella vita folle della città di Odessa. Ah! Odessa, è una rincorsa di canzoni e motivi provenienti da una delle città più caotiche e al contempo più vitali della Russia novecentesca. Le sue strade sono quelle dei racconti i Isaak Babel’ che fanno da traccia a questa narrazione fatta di aneddoti e storielle divertenti.

Per informazioni: www.teatrodue.org

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -