Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 36
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


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Note di percorso per una futura riflessione  
Ha debuttato al Festival d’Automne P#06, episodio parigino della Tragedia Endogonidia della Societas Raffaello Sanzio.      
Parigi, 18-31 ottobre 2003
di Gian Maria Tosatti
     

PARIGI - Come leggere P#06, sesta tappa della Tragedia Endogonidia, è uno degli interrogativi principali per chi è chiamato a scriverne. L’impianto complesso del progetto impone infatti una simultaneità di sguardi diversi. Da una parte c’è l’episodio in quanto monade organica in sé, dall’altra c’è la tappa come segmento isolato di un organismo più ampio. Nell’appuntare alcune visioni dopo aver assistito al lavoro della Societas Raffaello Sanzio è dunque impossibile non intrecciare il piano della sagoma complessiva che va delineandosi con quello della stazione numero 6, che probabilmente gli spettatori italiani non avranno la possibilità di vedere (Ricordiamo che Tragedia endogonidia è un progetto coprodotto da undici realtà teatrali europee residenti in altrettante città alle quali sarà dedicato un episodio che non verrà replicato altrove). In questo senso si finisce per portare le proprie riflessioni in un territorio, quello dei lavori non compiuti, che è e dev’essere ancora totalmente appannaggio dell’artista. Scrivere una critica non è dunque possibile, ma qualche appunto, un po’ informale, giustamente disordinato può essere abbozzato. Così si noterà che a più di un anno di distanza la Raffaello Sanzio torna in Francia, dopo la tappa di Avignone (A#02), con il debutto parigino che, voltando la boa di mezza via, lascia spazio ad alcune riflessioni legate alle leggi strutturali del progetto.

Nell’aggirare il pensiero dietro le quinte della Tragedia Endogonidia ci si rende immediatamente conto, ad esempio di come il recupero dell’identità della tragedia nell’età contemporanea si espliciti nella meccanica temporale del ciclo. La ricerca teorica che accompagna infatti l’ambizioso progetto della “famiglia Castellucci” impedisce di concepire una tragedia come atto definitivo o come espressione temporalmente definita. Una rigenerazione vitale infatti deve poter restituire alla tragedia la condizione di poter star sospesa sulle sue mutazioni socio-politiche (vero è che il periodo storico, “rutilante” di spunti tragici, favorisce un po’ la Raffaello). Non è infatti la scrittura di “una” tragedia a muovere l’azione del gruppo, ma la ricerca di come possa darsi “tragedia” oggi, di come possa darsi tragedia in tre anni. Spariscono così gradualmente eroi impossibili come Carlo Giuliani e compaiono altri protagonisti. Ma la tragedia è la stessa.

Due sono infatti le differenti temporalità che agiscono come forze concentriche attorno all’asse tragico. Da una parte la temporalità veloce (cerchio interno), che sovrintende la creazione dei singoli episodi. Ad essa appartengono i toni acuti, le immagini lampanti, le preposizioni. In sintesi appartiene a questa temporalità la faccia illuminata della cronaca che muta i suoi scenari con estrema rapidità. Dall’altra parte, invece troviamo la temporalità lenta (cerchio esterno), legata alla concezione totale del ciclo. Ad essa appartengono i bassi ostinati, le latenze, i “che” o le virgole, le relative che connettono i periodi. Qui si distilla il sangue nero che scorre sotto la pelle del reale in figure minuscole, quasi evanescenti, ma che hanno la capacità di apparire e tornare ancora nei momenti di silenzio. Qui si da corpo a cose che non hanno nome.

A Parigi per il Festival d’Automne, nella cornice dell’Odeon aux Ateliers Berthier, giacomettiane figure minime di uomini muti, soli, sono tornate ad agire in uno spazio troppo grande e a definirsi come i caratteri del nuovo uomo tragico secondo i Raffaello. E a muovere questo episodio sta un concetto già visitato in passato dalla compagnia: l’iconoclastia. La traduzione della natura e degli eventi in scenari, i significati elaborati dai retaggi culturali, che non distruggono, ma distorcono le immagini, le corrompono piegandole ad altri significati, le vivisezionano per farne pedine di uno scacchiere su cui gioca uno solo e gioca a resistere.

In uno spazio monumentale, come di mondo nudo al coprifuoco, teso sulla corda del terrore, dove le bandiere sbattono in tuoni disperati, poliziotti come formiche, figure in divisa di tutori dell’ordine (di un certo ordine), funzionari onnipresenti, soggetti ad un’altra legge, eseguono azioni, registrano filmati, prove, semplificano, trasmettono informazioni, estraggono a sorte martiri presunti, disegnano le traiettorie per le scarse figure umane che appaiono sulla scena.

Nella figura cristica stupefatta e in attesa, arresa, e violata si misura il raggio del “primo cerchio” di P#06, che porta immediatamente alla mente le immagini di questi ultimi tempi, dei conflitti mediorientali, dei kamikaze che si confessano davanti alla telecamera, degli esecutori come eseguiti, del silenzio alla loro interrogazione che ribalta la prospettiva del realismo mediatico aprendo finestre sui moti del “secondo cerchio” che si rifà alle leggi generali del presente e dunque dell’Endogonidia. E così si va considerando che se sulla carta l’idea di creare una tragedia contemporanea sembrerebbe non poter prescindere dall’eliminazione del piano mitico, il lavoro di Castellucci sta dimostrando tutto il contrario. E’ infatti il piano umano che pare scomparire lentamente dalla tragedia e il conflitto passare da quello uomo-dio a quello tra due ordini di divinità, quella “superumana” e quella “sub-umana” (intesa come pre-umana, archetipa) che s’ostina come la “Madre Anonima” a non soccombere. Chiaramente è nel piano di mezzo che tale conflitto verticale si consuma e assume la sua connotazione tragica, ma in questo piano all’uomo non compete più l’azione, quanto la passività all’ineluttabile. Se prendiamo a prestito da Wright Mills la definizione che “gli eventi dell’era contemporanea trascendono la possibilità dell’uomo ad intervenire su di essi” e dunque la prospettiva sociologica che ne segue, ci pare chiaro che la presenza umana nella Tragedia Endogonidia non possa essere che accidentale in uno scontro che si svolge altrove. L’uomo non può dunque che essere quel Cristo numero 5, estratto a sorte dalla massa dei milioni in attesa di informazioni, che viene precipitato in una macchina-bomba mentre una nuova fecondazione dal suo seme annuncia l’estrazione successiva.

Così, in una visione certamente parziale, si può accennare a P#06, di cui s’è voluto raccogliere qualche appunto in attesa che si sviluppi parallelamente al ciclo una riflessione esterna più completa. Nel frattempo l’appuntamento è a fine novembre a Roma, con R#07, unico capitolo italiano (extra cesenate) della Tragedia Endogonidia.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -