Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 36
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


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Una creatura mostruosamente nuova  
La Socìetas Raffaello Sanzio presenta al Festival di Avignone il suo A#02, primo appuntamento pubblico del progetto Tragedia Endogonidia.      
Avignone, 7-15 luglio 2002
di Gian Maria Tosatti
     

Sento che la nuova Tragedia sarà disumana e che, proprio per questo, sarà in grado di penetrare in noi con il pungiglione della commozione.

Sento che sarà una Tragedia algida, trasparente e pulita. Innominata.

Sento che nessuno capirà di trovarsi di fronte a una vera Tragedia e questa sarà la migliore riprova della sua efficacia.

Credo che occorra incominciare un po’ a dimenticarsi del teatro…

Romeo Castellucci


L’immagine scelta per il manifesto del Festival d’Avignon di quest’anno, firmata da Romeo Castellucci, è indicativa del fatto che l’attesa sia tutta per A#02 della Societas Raffaello Sanzio, seconda tappa (prima aperta al pubblico) del progetto Tragedia Endogonidia. E il risultato non tradisce le aspettative.

In un capannone il pubblico assiste in silenzio a qualcosa di ancora impreciso, di assolutamente labile e indefinito e insopprimibilmente vitale, come un feto che estratto dall’utero continua inesorabilmente a crescere e a respirare da solo, sotto gli occhi stupiti di un osservatore cosciente di trovarsi innanzi ad una creatura mostruosamente nuova e superiore.

Questa creatura è un’ennesima autogenesi del gruppo guidato da Castellucci, che oggi si trova ad una svolta sostanziale nel dichiarare non solo terminata una fase di ricerca, ma rifiutando la possibilità di sperimentare in un campo artistico definito. Quello che si vede è infatti un entità spettacolare che dimostra fortemente l’appartenenza ad un’eredità endemica propria della compagnia, in cui memorie e attraversamenti di estetica sono fusi in un movimento di respiro che avvolge la cristallizzazione della poetica “sanziana” in un corpo nuovo e trasparente che ha ad oggi come valenza quella dell’enigma.

L’impianto drammaturgico di un’opera in otto momenti, o movimenti, in cui centrale è il tema della genetica della poesia, è sviluppato sulla possibilità di scrittura di un capro (animale in carne ed ossa), indicato da Castellucci come “il Poeta”. Il regista va in cerca di un “testo midollare che promana dal centro stesso di tutte le letterature, cioè dall’inespresso di ogni corpo”, e nel farlo si prende alla lettera trascrivendo la sequenza di ammine che regolano tre processi fondamentali ed identificanti dell’animale, quello responsabile della respirazione cellulare, della crescita delle corna e della decomposizione, che messe su tre quadranti attraversabili spazialmente danno all’animale la possibilità di scrivere. Il compito della compagnia è allora quello di tradurre in forma, questo magma informale di una poesia vivente facendo sì che essa diventi la struttura di una “tragedia del futuro”.

Si comincia allora con l’ingresso degli spettatori in una stanza nera in cui viene mostrato il processo di scrittura del capro. “Il Poeta sta scrivendo” è questo il titolo dell’introduzione, o com’è indicato nel programma dell’“Antichambre”, ad un opera in quadri dalla straordinaria coerenza strutturale nelle possibilità d’evoluzione organica attraverso i vettori di tempo e spazio.

La “Chambre”, luogo in cui si sviluppa il corpo dello spettacolo è uno spazio bianco in cui tre corpi si muovono convulsamente in preda ad una crisi epilettica, turbamento e stato d’ingresso ad una visione altra che inizia con l’ingresso di Chiara Guidi e Claudia Castellucci, “Ambassadrices du Poète” nel liberare in forma-sonora la scrittura del capro attraverso una ricerca sui movimenti di ogni singola lettera. Esse portano dunque, e sono, la voce del poeta che inizia a condensarsi in un liquido bianco, una sostanza lattea che richiama il cromatismo spaziale facendone un’ipotetica emanazione che comincia a prender vita con l’ingresso di figure di soldati-araldi, monaci di un ordine sconosciuto e arcaico. Sono questi “Les Soldats de la Concepiton” che incominciano ad agire il contrasto del tragico che ruota attorno alla figura di Carlo Giuliani, sublimata, umiliata e resa intoccabile nella sua paralisi di immagine. Ciò avviane in una enorme stanza dorata, luogo della concezione, nei tre passaggi successivi, in cui un bambino, un pagliaccio e un arco meccanico saranno le figure guida, di un lavoro che rifiuta il commento ed espone l’azione tragica come unico elemento radicalmente libero (non temperato dagli stasimi) di attaccare gli spettatori e di sbranarli. Finché una doccia visiva non ripropone la scrittura del capro come spirale psico-emorragica che disseziona il processo tragico mostrandone la sequenza drammaturgica decodificata, generatrice nel suo essere “genetica” di un movimento anteriore e postumo alla sua stessa genesi.

Al suo primo appuntamento pubblico la Tragedia Endogonidia si presenta dunque come un lavoro di estremo interesse, che si allontana dalla possibilità di venir limitato nella definizione di teatro nel momento in cui vi si spinge nelle profonde radici, e che già nel suo passaggio iniziale di un’annunciata e futuribile evoluzione si dimostra come una infinitamente potente macchina visionaria capace di scardinare gli specchi deformati posti sulle pareti del reale e di essere una forza potentissima nell’urgenza di un attacco al presente.

Articolo pubblicato su www.tuttoteatro.com

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -