Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 36
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Punto di svolta, la vita, il traffico  
Egum (in)contra Muller: #3 – Appunti di regia per Hamletmachine.      
di Egum Teatro      

CAPITOLO I: A QUESTO PUNTO

Ci sono tante ragioni per fare uno spettacolo teatrale. Hamletmaschine, il nostro ultimo spettacolo, segna un momento preciso nel nostro percorso di riflessione. Per noi è finita una fase che potremmo definire di “ raccolta dati”. Negli ultimi anni abbiamo affrontato con ogni spettacolo delle questioni che ritenevamo strutturali…. lontani e impermeabili alle mode e ai ricatti del mafioso mercato teatrale italiano abbiamo proseguito le nostre indagini. Per ogni spettacolo una questione da delimitare e su cui riflettere. A volte questo atteggiamento ha messo a rischio la fruizione dello spettacolo stesso. Ma non importa. Tra l’approfondimento e la confezione preferiamo la prima via. Comunque sia è finita la fase “c’è questa questione e quest’altra”…adesso non basta più individuare, elencare e presentare…dobbiamo cercare di affrontarle, di risolverle, di trovare delle vie d’uscite.

L’immagine che più si adatta a descrivere il nostro percorso è quella della sovrapposizione, di un agire che disegna, cancella, e riparte da quello che è rimasto per poi fare un altro disegno che sarà nuovamente cancellato. Il risultato finale è l’accumulo, l’intasamento, la sovrapposizione di differenti gesti, di fallimenti, di paura di cancellare o semplicemente di stanchezza…fisica. Quando sei nel bel mezzo di questo agire tutto può aiutarti o annientarti. La cosa importante è cercare di tenere tutti i livelli di realtà.
La differenza tra Hamletmaschine e gli spettacoli precedenti è proprio questa: nel nostro ultimo spettacolo ci sono diverse questioni che abitano un unico spazio mentre in quelli precedenti un’unica questione si aggirava per diversi spazi. Hamletmaschine è fatto di diverse realtà che compongono un unico e caotico luogo di azione…un ring, un luogo di collisioni o un labirinto o una ragnatela o semplicemente la strada con la sua viabilita’ fatta di caos e ordine. Ecco i nostri modelli di composizione, quelli della vita. Noi non amiamo le citazione colte della Storia dell’Arte. Cerchiamo di avvicinarci al flusso della vita.
Questo è un modo di procedere che a volte funziona e a volte meno. Non forziamo niente. Facciamo e osserviamo i risultati. Vogliamo vedere i mutamenti della materia sulla scena. Osservare come alcuni materiali tendono a andare verso il senso, a crearsi una storia, mentre altri diventano pura intensità o vibrazioni. Facciamo e osserviamo. Senza volere convincere gli altri, non siamo dei predicatori, nemmeno degli artisti in carriera.

E’ facilissimo ingannare lo sguardo esterno. Basta creare continui effetti-scosse nei confronti dello spettatore. In questo senso molti spettacoli dell’attuale ricerca italiana assomigliano a quelli del teatro di regia…vogliono, con strategie e punti di arrivo diversi, manipolare lo sguardo esterno. No! E’ troppo facile! Non vogliamo tenere in ostaggio la concentrazione dello spettatore, nemmeno per cinque minuti, e non crediamo che questo sia possibile; vogliamo che lo sguardo esterno si dimentichi di essere a teatro, che si dimentichi di avere davanti uno spettacolo, vogliamo che cancelli in questo modo la nostra presenza, lo spettacolo, la recita, l’estetica…ci auguriamo che lo sguardo esterno si distragga, che possa avere la possibilità di andarsene, di fare una passeggiata, di pensare ai fatti suoi. Non facciamo teatro per essere il centro del mondo ma per guardare il mondo. E’ diverso da quello che alcuni idioti vorrebbero che noi facessimo. Non riescono a capire che per noi il teatro è uno strumento per guardare altrove, una specie di telescopio o di microscopio. Guardare altrove…lontano. Non ci interessa continuare a dire agli altri “Guardate che bel telescopio…è fatto così…ha queste possibilità”…no…no e no! Non siamo in una televendita. Dimenticare il teatro e guardare il mondo, la vita, la propria vita, le sensazioni che ci invadono e che costruiscono la nostra memoria. Certo! Tutto questo è molto difficile da ottenere. Ci vuole una strategia efficace e molto precisa. E come abbiamo già detto, non sempre riusciamo a creare le condizioni per questa libertà dello sguardo. E meno male!

CAPITOLO II: KULTHAMLET

Hamletmachine di Heiner Muller è un testo affascinante. Pieno di contraddizioni, di affermazioni e di incertezze, di momenti di devastante intensità che provocano in noi una molteplicità di emozioni. Tutto è lì, davanti a noi, la vita e l’artificio, come in una foto tessera. Le cose della vita nel loro stato primordiale. La nostra azione,dunque, è stata quella di controllare l’ impulso automatico di interpretazione, di spiegazione, di traduzioni, di comunicazione. Perché Muller ci chiede di condividere un atteggiamento. Tanto semplice quanto raro: lasciare le cose come si presentano. E qui iniziano le difficoltà perché fare uno spettacolo è comunque un agire sulla materia. C’è sempre una forzatura, un impulso incontrollabile di incollare o di appianare gli angoli , i lati; un desiderio di costruzione, di creazione di qualcosa, di una forma, di un oggetto, di un racconto.

Ci sono diversi modi per resistere all’agire estetico. Di solito la vittima sacrificale è la Forma. La si frammenta, la si sdoppia, la si impoverisce, la si trasforma in un labirinto di segni- visivi o uditivi. Ma siccome la forma è malleabile – veramente si presta a tutto – abbiamo l’impressione di sovvertire chissà che cosa, di aver inventato nuovi rapporti, scoperto nuovi mondi. Può essere una comoda illusione o una triste constatazione. Il problema non è di forma. La Forma è solo un vestito. Ogni anno va di moda uno diverso. E allora perché dare tanta importanza a una passeggera tendenza?

Proviamo a guardare da un’altra parte. Magari possiamo partire dal nostro rapporto con la vita (un'altra illusione ? ). Proviamo
La vita , diversamente del teatro, è un sistema dinamico e in costante mutazione. Le forze che compongono questo sistema sono infinite e le regole che organizzano il loro rapporto sono in una minima parte a noi accessibile. Il sistema-vita è un labirinto. Non abbiamo mai una visione delle stanze accanto. Sappiamo che ci sono perché avvertiamo gli echi della loro esistenza . Certo, trovandoci in questa situazione non possiamo fare altro che cercare di uscire o di cambiare o quanto meno di capire. Non ci resta che muoverci, conoscere altre stanze, altri corridoi nella speranza di allargare la nostra inesorabile visione parziale di quello che ci circonda ( chiamalo Mondo) e di riuscire a indovinare il disegno generale , le dimensioni, la qualità di questo labirinto. I testi di Muller sono un bel aiuto al nostro sopravvivere a tutto quello che sta oltre la nostra epiderme. Le sue parole ci aiutano a vivere nonostante la putrefazione del mondo.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -