Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Gruppo di famiglia in un'interno seriale  
Ha debuttato a Roma l'ultimo lavoro di Scena Verticale, Kitsch Hamlet.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Un'interno feroce di animali braccati. La cella numero ennesimo di un grande allevamento di uomini. Pilastri di cemento armato a vista come le sbarre della gabbia, di un grande vivaio umano (o disumano). E fa impressione (nel senso più fisico della parola), inquieta, quella presenza di oracoli in una così sterile realtà, immagini della Vergine e il sorriso di Padre Pio in agguato.
Quando si comincia sono le voci di Maurizio Costanzo e del suo circo di fenomeni ad aprire il sipario. Ma queste, come la situazione trash, il "kitsch" che sta anche nel titolo, sono solo le note di fondo di una sinfonia che si suona altrove, con altri strumenti. Kitsch Hamlet è un lavoro che guarda altrove infatti, attraverso le domande che pone, ultimo passaggio di una trilogia che a osservarla col senno di poi, dal debutto di quest'ultimo passaggio, pare aver trovato la chiave di volta di un concreto sviluppo. Questo terzo affondo della compagnia calabrese Scena Verticale si traduce come momento sintetico, e dunque di superamento delle altre due tappe, Hardore di Otello e Amleto ovvero Cara Mammina. Qui le domande, che essi portavano in embrione si combinano, si fondono in una riflessione interrogativa sullo stato attuale delle cose. Le questioni si precisano e diventano "la questione".

Un quadro plausibilmente quotidiano ne è la scena, tre fratelli inconcludenti eppure "nella norma", una madre che cede come una grande cagna malata, un quarto fratello, Amleto, impossibile eroe tragico, confinato e protetto nella sua assenza dietro una porta, una ragazza uscita di senno perché incapace di adeguarsi alla irrilevante perversione dei giorni. Un gruppo di famiglia usato come linguaggio nella sua sintassi elementare, tecnica, come lo sono appunto le scritte sui giornali, sul web, sui telefonini, abbreviazioni che rimandano ad un sisema di segni studiato per contenere e non per trasmettere. Scena Verticale dimostra di sapere benissimo dove vuole andare a parare e fa centro. Costruisce uno spettacolo che non si contenta di essere prodotto spettacolare, ma fa di tutto per sparire in quanto tale, divenendo vettore per la riflessione di cui è portatore, riflessione attiva, perché posta in forma di domande e distibuita su una dinamica comica che alza il ritmo rendendo più violento l'impatto con la platea.

Oggi dunque uno spettacolo come questo ha il valore di proporci con piglio pirandelliano la nostra immagine di italiani riflessa da uno specchio che ci mostra più uguali di quanto non ci aspettassimo, perfino in quelle perversioni del profilo, quelle ombre nel cavo degli occhi. che non abbiamo mai creduto di avere e che invece sono lì a reclamare il loro posto nel nostro quadro d'insieme, di vittime e assieme di colpevoli. Scena Verticale giunge così alla compiutezza di un discorso che va ben oltre la propria "trilogia calabro-shakespeariana" e si collega alla riflessione di un teatro che oggi come nei tempi oscuri sceglie per necessità il ruolo di "Ritratto di Dorian Gray", di lastra impressiva in cui registrare le mutazioni che ogni mattina crediamo di cancellare lavandoci la faccia per ricominciare.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -