Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Eviscerazione della fiaba  
La sperimentazione di Virgilio Sieni apre Enzimi con Babbino caro.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - L'opera di Virgilio Sieni è stata in questi anni riconosciuta come una delle più importanti realtà della ricerca artistica italiana. Il suo è un lavoro di analisi progressiva della fiaba attraverso i mezzi del palcoscenico che sono quelli peculiari della danza, ma che non s'impongono limitazioni e sconfinano spesso e volentieri nel teatro, assumendo tutte le caratteristiche di un'arte totale come altrimenti una reale sperimentazione non potrebbe essere. Sulla scena di Enzimi è Babbino Caro a dare il via alla manifestazione.

Giunto ad una veste semidefinitiva, il viaggio in diagonale dentro la struttura umorale di Pinocchio, nelle mucose della fiaba, si presenta come una possibilità di spiazzamenti proposta in maniera sistematica dalla paradossale curiosità del coreografo.

Siamo di fronte allo squadernamento della fiaba in una sorta di impianto cubista, in cui in ogni momento è possibile vedere il diritto e il rovescio di ciò che sta al centro della scena, ma al tempo stesso abbiamo la possibilità di dubitarne assolutamente.

E' un gioco sottile basato sulla spietata labilità delle possibilità dell'aspetto in cui le figure si mostrano non solo a noi, ma alle stesse loro menti creatrici cui si rivelano.

In un universo che ammette in qualsiasi momento un possibile tradimento, ci troviamo di fronte ad un Pinocchio davvero burattino del destino che si dimostra sordo più che cieco. E' infatti l'impossibilità comunicativa dell'esistenza a farsi tema principale nella definizione del crinale ripido tra il dentro e il fuori dalla fiaba. E' nel primo di questi due luoghi che ci troviamo per quasi tutto lo spettacolo, in cui subiamo la rivelazione shock della distorsione delle leggi ontologiche della favola una volta che si è messa la testa dentro la bolla di vetro. La fata dai capelli turchini, con la sua impossibilità ad esistere, persa nel turbine di una memoria indifferentemente possibile diventa allora il simbolo di questo lavoro frutto di avvicinamenti e corrispondenti allontanamenti dentro l'organismo collodiano di cui inevitabilmente perdiamo la coerenza drammaturgica in favore della logica di processo.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -