Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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La differenza sta nella coscienza  
Il teatro come coro della società. Questa la meta-riflessione dall'Antigone di Tiezzi che parla chiaro sulla storia attuale.      
di Gian Maria Tosatti      

Utilizzando un punto di vista politico
si riuscì a fare d'un lavoro classico qualcosa di più
d'un beato crogiolarsi nelle rimembranze

Bertolt Brecht

MODENA - Comincio con una citazione questa volta. La citazione di una citazione che appare in epigrafe al programma di sala dell'Antigone di Sofocle della Compagnia Lombardi-Tiezzi (che dopo il debutto di Prato di una settimana fa abbiamo visto al Teatro Storchi di Modena). Ripeto allora, ma è giusto. Perché in questa citazione, anzi in quella, sta la cifra di una differenza.

Utilizzando un punto di vista politico Tiezzi ci consegna uno spettacolo prisma, uno spettacolo che ci aiuta a fare la spettrografia di una realtà che oggi è violentemente sotto gli occhi di tutti. Dico "spettrografia" quando potrei scrivere "visione", perché nella costruzione che Tiezzi mutua da Brecht c'è più della lampante specularità di un contesto, c'è l'analisi di una razza, la rivelazione delle sottotracce antenate che si legano una con l'altra fino a stringere i polsi di tutti noi spettatori e di chi non c'era e non vedrà mai questo spettacolo.

Talvolta su queste pagine sono stati criticati quei lavori che solo si sono limitati a presentare il dato evidente, la realtà nota. Quei lavori che, per quanto pregevoli, sono specchio di un altro specchio, quello che compete all'informazione, all'immagine giornalistica, che non ha bisogno di essere abbellita, trasfigurata per divenire leggibile, e soprattutto non hanno bisogno di una morale appiccicata in calce.

Ma qui la differenza c'è e sta tutta in quella citazione. L'Antigone di Sofocle, nella lettura brechtiana e in questa, è un luogo in cui il dato attuale è osservato con occhi familiari, gli occhi di un vecchio che parla dei padri per dire dei figli. Qui il tempo è dato nella circostanza delle sue molteplici coniugazioni. Squadernato davanti ai nostri occhi in forma di domande, di dubbi. In figure che si permettono di affondare a ritroso scavalcandoci con lo sguardo puntato verso il futuro.

Continuiamo ossessivamente a chiederci cosa sia il Teatro oggi. Continuiamo da più di un secolo tra le infinite risposte che non ci bastano. Continuiamo a cercare un ruolo per un mostro che ormai sembra non appartenere più a questo mondo di vivi. Sembra stare lì, mostruoso e di per sé ripugnante, deforme e bestemmiato. Sembra un cadavere bianco. E ci pare di riconoscerlo, nello spettacolo di Tiezzi, quando Tiresia entra in scena, il veggente. Ma pure nel domandare del coro, nel suo insistente chiedere ragione. Nell'ammonire, e nel fermare in uno stasimo la ruota degli avvenimenti. Pure il Teatro ci pareva di riconoscerlo nella figura dei personaggi di questa Tragedia, le figure super-attoriali di Creonte, Antigone, Ismene.

Guardo il Teatro e mi appare per una volta cosciente di sé, nel suo proporsi così, con tutta l'intenzione di essere classico. Ma classico per davvero. Greco.

Tiresia ci provoca brechtianamenta a cercare nella storia di Edipo altri casi simili nella nostra storia recente. E casi ce ne sono, ce ne sono eccome. Casi su cui la Tragedia chiude il sipario con le parole: " Perché il tempo è breve, e il fato è dappertutto, e non basta vivere leggeri senza pensiero, da sopportazione a delinquenza, diventando saggi in vecchiaia". Non c'è più distinzione tra il coro dei vecchi tebani e la platea che ascolta. Che si è riunita per ascoltare proprio come una comunità, un'assemblea, una città di fronte ad un tiranno. Qui, in questo luogo mostruoso, ("là dove un tempo in mezzo ai crani delle bestie di un barbarico culto sacrificale, l'umanità dai grigi tempi iniziali si alzò grande" B. Brecht) il fantoccio di un tiranno senza fare differenza tra personaggi e persone ci rivolge un amaro commiato: "Tutto avete tollerato, richiesto addirittura. Ciò vi rende complici".

Allora mi torna in mente quella citazione che prima della recita, noi, pubblico teatrale, leggevamo distrattamente. In questo gioco serrato di richiami, di rimandi, in cui tutto sembra avere una risonanza profonda per una volta si assiste ad un teatro che senza ridondanti parafrasi, con semplicità, la domanda se l'è posta. Davanti agli occhi degli spettatori la cosciente rincorsa di una risposta. Il Teatro, quello grosso, ci è apparso allora nella sua eresia verso il suo rituale moderno, nella sua ricerca originaria di una parentela col coro, con gli anziani padroni del mito e delle chiavi della razza. Tiezzi gli cerca la vecchiezza. Non l'imbelletta, ma lo ignuda nei suoi meccanismi originali attraverso Brecht.

Non saprei dire se ci sia stata Tragedia, ma certamente, "Utilizzando un punto di vista politico si riuscì a fare d'un lavoro classico qualcosa di più d'un beato crogiolarsi nelle rimembranze".

Poscritto:
Mi pare inutile sottolineare che se quanto si è scritto va oltre lo spettacolo, è perché lo spettacolo stesso lo ha permesso. Il che significa che quasi impeccabile è stata la tecnica di tale evento, dalla costruzione dello spazio (una nota particolare alle luci di Roberto Innocenti) a quella che della storia hanno compiuto gli attori (Sandro Lombardi, Chiara Muti, Debora Zuin, Alessandro Schiavo, Giampiero Cicciò, Massimiliano Speziani, Silvio Castiglioni, Marion D'Amburgo, Massimo Grigò, Fabio Mascagni e Lucia Ragni).


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -