Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Parlare!  
Motivazioni per un numero anomalo.
Editoriale
     
di Gian Maria Tosatti      

"Parlare ora o tacere per sempre". Così titola l'ultimo numero di "Ateatro", una rivista a cui piacciono le sfide proprio come a noi. E noi, questa volta, la sfida l'accettiamo e proviamo a parlare e a muovere i nostri lettori che sappiamo numerosi e motivati ad essere protagonisti e non solo spettatori di un teatro che è patrimonio comune da difendere. Questo è allora un numero speciale in cui proponiamo alcune polaroid sparse sulla situazione attuale. Quadri diversi appartenenti a contesti diversi di uno stesso panorama.

Il modo in cui parliamo di Teatro su LifeGate è legato alla costruzione di itinerari di senso per il lettore in cui poter capire i valori di cui alcune realtà sono portatrici e come dialogare con esse. E' una scrittura in proiezione a volte, perché preferiamo ragionare sul dato futuribile più che su quello attuale. Continueremo a fare questo. Dunque questo non sarà un numero ragionato. Ma un numero sparso di ragionamenti. Un numero disordinato sul presente, sullo stato dell'oggi.

Pubblicheremo pochi materiali, che crediamo particolarmente significativi, a partire dalla lucida analisi di Adriano Gallina sulla crisi degli Stabili d'Innovazione, fino all'illuminante controcampo di Fofi.

Per gli altri vi linkeremo o vi indirizzeremo verso le altre campane che hanno aperto o contribuito al dibattito, a partire dal prezioso dossier su "Teatro e stato" pubblicato su questo numero della rivista cartacea "Hystrio" (anno XVII - n°1), parzialmente riproposto sullo scorso numero di Ateatro (www.ateatro.it).

Dossier cui sono seguite molte reazioni importanti, raccolte sul numero corrente della stessa rivista telematica diretta da Oliviero Ponte di Pino, quella che titola appunto "Parlare ora o tacere per sempre" in un editoriale fitto di idee e proposte che ci sentiamo di contividere.

Personalmente mi trovo molto d'accordo con Oliviero PdP e con le ipotesi per un chiarimento rispetto alla gestione delle strutture. In primo luogo nei confronti dell'Eti e del suo modo di programmare i suoi teatri (attività nella quale sono investite le risorse maggiori del proprio finanziamento Fus). L'attuale gestione dell'ente infatti sta letteralmente riblatando i compiti per cui una struttura di questo tipo giustificherebbe la propria esistenza. E' evidente infatti che la gestione dei teatri Duse, Pergola, Quirino e Valle sia da considerarsi mercantesca. Se la gestione Tian-Marinelli aveva il suo punto debole nell'afflusso di spettatori, questa vede incrementare le presenze acritiche. Se quella peccava nel non riuscire ad avviare un programma di formazione capillare del pubblico in sinergia con altre strutture statali, a partire dalle scuole, questa si è tolta il dente non preoccupandosi affatto della crescita culturale del Paese (ricordiamo che l'educazione al teatro nelle scuole non è prevista e che dunque dovrebbero essere i teatri e l'Eti in primo luogo a proporla in maniera integrata alla loro attività di programmazione) e si è limitata a perseguire l'obiettivo di una qualsiasi impresa privata, quello di fare numero. Non ci si stupisce tenendo conto che i due presidenti eletti negli ultimi due anni sono o erano "monumenti viventi" (anche per via dell'età) dell'impresariato privato. Per vincere la scommessa del pubblico ci hanno proposto Gianfranco D'Angelo e Lando Buzzanca e ci sono riusciti. Ma non solo al Duse e Quirino, anche al Valle, dove Dodin e Donnellan vengono ospitati non in base ad una progettualità legata all'iter dello spettatore nei linguaggi contemporanei (altrimenti altro che Dodin e Donnellan vedremmo, che sono già classici), ma per accontentare un'altra fetta di mercato. Sulla gestione della stagione al Vascello è poi meglio tacere trovandoci di fronte all'anomalia più grossa che si possa immaginare, in cui un ente pubblico affitta (a caro prezzo), per fare programmazione contemporanea, un Teatro Stabile d'Innovazione che a sua volta riceve dallo stato, proprio per fare di per conto suo quella stessa programmazione, una cifra che supera i trecentomila euro (uno dei contibuti più alti). Del minestrone di spettacoli e della loro qualità tacciamo.

Tutto questo mi porta ad essere d'accordo con Oliviero Ponte di Pino quando chiede che l'Eti smetta di fare programmazione e dismetta le proprie sale. Lo testimonia una lettera, che nei giorni in cui Albertazzi e Veltroni accampavano pretese sul Valle, scrissi al presidente Galdieri, dicendogli che quando non si ha un progetto di gestione è meglio liberarsi di un costoso impaccio quale può essere un teatro (e con ciò, sia detto, non ipotizzavo neppure che l'annessione al Teatro di Roma avrebbe fatto la fortuna della sala capitolina).

Questo tuttavia è solo un punto o un insieme di punti per una ridiscussione che dovrebbe prendere in esame anche enti come la Biennale che quest'anno ha prodotto il nulla anche e soprattutto perché tre direttori scelti a casaccio e messi in carica di malavoglia per un anno senza alcuna possibilità di gettare le basi per qualsivoglia progetto o coltura non sono e non saranno mai in nessun sistema al mondo nella condizione di realizzare qualcosa che valga la pena di essere ricordato. Ma in questo senso tavoli di discussione non se ne aprono e il progetto Urbani per un controllo totale sugli enti nazionali prosegue senza intoppi portando proprio in questi giorni Croff sano e salvo alla presidenza dell'ente.

Tuttavia, per tornare all'Eti è bene ricordare che il problema non sta semplicemente nella gestione delle sale. Anzi. Il vero problema riguarda le responsabilità dirette dell'ente nel fallimento di molti progetti importanti, assiali, specie se considerati in relazione al territorio (come ad esempio esperienze quali il festival Primavera dei Teatri a Castrovillari e Opera Prima a Rovigo). Responsabilità legate alla dismissione non tanto di sale, quanto di responsabilità nella gestione di un piano di promozione e distribuzione nazionale del teatro contemporaneo italiano (compito per assolvere al quale l'ente fu fondato nel '42).

Citiamo a questo proposito dalla lettera che i dipendenti Eti hanno intoltrato alla presidenza dalla quale si evince una chiara linea di indirizzo:
...3. La presentazione del bilancio preventivo dell'Ente per l'anno 2004 che prevede solo ed esclusivamente la gestione dei quattro teatri: Valle, Quirino, Pergola, Duse. Per l'attività distributiva, che ha costituito il nerbo delle funzioni di questo Ente per almeno 40 anni, sono previsti euro zero. Zero per i Circuiti, zero per il Teatro di Ricerca, zero per il Teatro Ragazzi. Lo stesso vale per i progetti internazionali: zero per i Percorsi Internazionali e per qualsiasi altra iniziativa nel settore. Zero, naturalmente, per tutte quelle iniziative più progettuali e meno distributive che hanno segnato il passaggio negli ultimi anni ad una trasformazione delle funzioni dell'Ente da distributore a promotore del Teatro Italiano. L'impatto di una simile situazione, che mai prima d'ora si era verificata, sta già producendo i suoi effetti sul sistema teatrale italiano. Le proteste del mondo del Teatro sono ormai uno stillicidio quotidiano e le categorie lanciano i loro strali dalla vicinissima Agis. A rendere il quadro più fosco, il bilancio di previsione per il 2004 prevede di chiudere il bilancio del 2003 con un deficit di circa un milione di euro. Eppure gli ultimi bilanci consuntivi, fino al 2002, presentavano degli avanzi di gestione che venivano abitualmente utilizzati per finanziare l'avvio di stagione.
Una simile inversione prodotta in così poco tempo è forse il sintomo più evidente della situazione di pericolo in cui ci troviamo.

4. La mancanza di indirizzi e di una strategia che indichino con chiarezza in che modo si intende dare corpo al ruolo e alle funzioni dell'Ente. Quando a suo tempo si chiese all'Ente di virare dalla distribuzione alla promozione, tale obiettivo venne individuato ed indicato a noi tutti e d'altronde i progetti cui si lavorava indicavano con chiarezza la direzione che si stava prendendo. Così, in tempi più recenti, si erano avviati progetti mirati, per sperimentare il nuovo ruolo di raccordo con gli enti territoriali e locali che ETI avrebbe potuto svolgere quando le funzioni attualmente attribuite al Ministero fossero passate alle Regioni. E' un cambiamento inesorabile previsto dalle modifiche apportate al titolo V della Costituzione, che sembrava indicare con chiarezza il ruolo che il futuro riservava a quello che sarebbe rimasto l'unico Ente centrale per il Teatro. Quei progetti sono stati smantellati, i rapporti costruiti in anni con gli enti locali sono andati perduti e non sono stati varati nuovi progetti che indicassero un indirizzo o una strategia per ricollocare l'Ente in una dimensione che lo rendesse necessario al Teatro Italiano.
Da questi due brevi passaggi appare chiaro che quanto è stato fatto di male in questi due anni saremo o saremmo destinati a rimasticarlo moltiplicato alla potenza ennesima. Come a dire che la chiusura in quattro e quattr'otto del "progetto aree disagiate", che aveva permesso a realtà operanti nel Sud di poter sviluppare progetti di grande profitto a tutti i livelli (vedi l'incremento di giovani realtà formatesi in quell'ambito e oggi operanti con risultati interessanti sul territorio italiano e non solo), è da considerarsi solo un anticipo, un "trailer" per un film che ci auguriamo di non vedere. (Alcune scene del film sono desumibili dalla lettera aperta di Carlo Bruni, ex direttore del Kismet, che per solo dovere e volere di cronaca abbiamo deciso di pubblicare come ulteriore polaroid, proseguendo il discorso sulla crisi degli Stabili d'Innovazione accennato qualche settimana fa). Riguardo alle precisazioni che il presidente Galdieri ha voluto rivolgere ai dipendenti e ai lettori (le si possono trovare su "Ateatro") personalmente posso affermare di non ritenermi soddisfatto. In primo luogo perché i dati indicati sono d'interpretazione arbitraria (giro la domanda che pone Paolo Aniello: "Come fa un consigliere di amministrazione a scrivere che il bilancio 2004 rispetta la situazione degli anni precedenti, dicendo nello stesso tempo che non ci sono risorse per le attività teatrali sul bilancio ordinario, come è sempre stato?") e in secondo luogo perché l'assenza di progettualità non è solo sulla carta, ma la si avverte nei corridoi, negli uffici, nei teatri dell'Eti (a differenza di quel che si poteva respirare qualche anno fa quando i problemi economici cui far fronte erano pressappoco gli stessi).

E soprattutto non mi soddisfa quando azzarda un paragone tra l'Eti e strutture quali biblioteche e musei. Paragone assai azzardato visto che gli ultimi indirizzi riconoscibili di questo CdA tendono a trasformare i quattro teatri appunto in quattro musei vista la proposta che vi circuita.

Non ci soffermiamo invece sulle sbirciate legittime al sottobosco di interessi e conflitti d'interessi che muove tutto il quadro chiarendo alcune motivazioni di questa crisi, motivazioni che passano attraverso parentele societarie o carnali dei consiglieri d'amministrazione dell'Eti o attraverso le "imprese" (come lo scandalo Lottomatica) del Direttore Generale dell'Eti Angela Spocci, anch'essa di nomina ministeriale, che, è bene ricordarlo, nella sua vita non si è mai occupata di prosa. Di tutto questo si sono occupati Riccardo Bocca su "L'espresso" del 23 gennaio 2004 e Gianfranco Capitta sul "Manifesto" del 25 gennaio.

Non ci soffermiamo neppure sulla calzante e preziosa risposta di Paolo Aniello in merito responsabilità che l'Eti prova a scaricare sulla Tedarco, in cui vengono fatti per una volta i numeri veri per chi li volesse conoscere. Tutti materiali questi che possono essere trovati assieme alle fonti citate sul già ricordato numero corrente di Ateatro. Pubblichiamo su questo numero doppio (che rimarrà on-line per due settimane) solo alcuni interventi che ci sono parsi particolarmente legati al nostro modo di fare informazione e riflessione teatrale.

Nel merito di quanto si è detto e si dirà, è bene rendere noto che il 15 marzo sarà pronunciata un'interrogazione parlamentare alla camera, che l'Agis ha aperto una "Vertenza spettacolo" di cui si parlerà in conferenza stampa il 26 febbraio e che Eti e Agis hanno aperto un tavolo di concertazione. Ci auguriamo con Ponte di Pino che questo tavolo sia aperto per davvero a tutti i soggetti interessati una volta tanto e non solo, dato che "il controllo deve essere esercitato anche [...] da una opinione pubblica che deve avere [...] funzione di stimolo e proposta". Ciò ci motiva a comporre questo numero speciale.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -