Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


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La guida sportiva e la city car  
Nekrosius debutta con un testo debole e si scontra duramente con le contraddizioni della sua grandezza.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Eimuntas Nekrosius ha debuttato a Roma con il suo ultimo lavoro, un dittico ispirato al poema di Kristijonas Donelaitis Le Stagioni, di cui sono stata presi in esame i momenti della primavera e dell'autunno.

Nei due lavori in cui si mostra evidente una tendenza rischiosa del regista lituano. Gioie della Primavera e Ricchezze dell'Autunno sono infatti due spettacoli che prendono spunto dal materiale poetico per sviluppare una serie di immagini per assonanza, di riflessi della mente o della memoria, in cui animare quella preghiera quasi pagana in cui un prete del Settecento declina la sua terra e i suoi abitanti.

Ad emergere non è quell'identità ortodossa delle grandi cattedrali, delle grandi città della Russia santa, ma una più mite religiosità naturale. Festosamente francescana e stupefatta in una Lituania cosciente della sua geografia periferica.

Niente epopea delle grandi steppe, grandioso affresco contadino, ma un ritratto di villaggio volutamente in minore, in cui i volti si riconoscono, in cui i rapporti sono chiaramente ristretti ad una cerchia definita. In questo senso la scelta di Nekrosius è addirittura radicale, giungendo a negare nell'azione quel continuo richiamo mistico che invece resta tra le parole di un testo che, forse anche per questo, si avverte troppo lontano.

Di contro va notata la debolezza di un testo che Nekrosius travolge senza diplomazia. Si fa presto dunque a notare per certi versi il carattere chiaramente pretestuoso di uno spettacolo in cui le immagini, ordinate per temi, vengono sviluppate in maniera puramente arbitraria ed ordinate secondo una logica che obbedisce a legami leggeri. Un gioco questo che in Gioie della Primavera si traduce nell'impossibilità dello spettatore a salire sul treno dello spettacolo e dunque in una conseguente noia colposa. In Ricchezze dell'Autunno la coerenza strutturale è cercata maggiormente attraverso un maggiore rigore ritmico e tonale. E seppure resta assai difficile mantenere un'aderenza con la tessitura drammaturgica si riesce a creare una dialettica tra l'attenzione dello spettatore e il mestiere dell'artigiano più disciplinato.

Tuttavia non è il singolo risultato ad essere rilevante in questo caso, quanto il sempre più chiaro affiorare di un difetto del regista lituano, che pare accentuarsi in relazione alle scelte compiute negli ultimi anni. E' nota, infatti, la maestria di Nekrosius nel campo della fantasia e della visionarietà, pure proprio in questa forza si può individuare "l'anello che non tiene" degli ultimi spettacoli.

A decidere infatti il risultato poco felice degli ultimi Cechov e delle opere di cui ci occupiamo in questo articolo è stato il disequilibrato rapporto di forze tra la potenza immaginifica dell'autore della messa in scena e il peso della struttura drammaturgica data dal testo.

Se questi anni i risultati più alti raggiunti da Nekrosius sono stati il frutto di un incontro-scontro con il più visionario dei drammaturghi, quello Shakespeare le cui immagini organizzate per loro necessità in impianti drammatici così solidi da poterne catalizzare la carica, hanno messo in crisi la devozione alla Poetica aristotelica, è chiaro come in strutture soggette ad equilibri più sottili (fu proprio Nekrosius ad affermare che "Cechov è tutto lavoro d'attore") la carica del regista abbia travalicato i parametri d'armonia tra opera e messa in scena neutralizzando la possibilità di una sintesi funzionale.

In quest'opera a maggior ragione ciò avviene in forza di un testo la cui struttura drammaturgica si dimostra in assoluto troppo debole per poter disciplinare l'energia libera del regista che dunque si trova a veder schizzare il proprio lavoro tra le mani dando in fine l'impressione di aver prodotto nient'altro che un esercizio stilistico che oltretutto, sempre in relazione al testo, non raggiunge neppure in estetica i risultati migliori.


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -