Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Coniugare la tradizione  
Danzando Lolita, un esperimento di Benni, Rossi e Damiani per restituire alla letteratura una forma orale.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Talvolta capita di distinguere il teatro tradizionale dal contemporaneo. E difficilmente questa distinzione necessita di ulteriori precisazioni. Per lo più ci si capisce al volo.

Ma visto che questa rivista non ha fretta, sarà utile partire da una domanda di base: Cos'è il teatro tradizionale?

Un esempio permetterà di prendere il problema alla radice, ma prima di tutto verrebbe da dire cosa il "teatro tradizionale" non sia. Cioè, in breve, il teatro che si faceva trent'anni fa e che ancora riempie i nostri palcoscenici di prestigio, oppure i recuperi filologico-museali di forme artistiche del passato, che stanno al teatro come il calcio fiorentino in costume sta allo sport, e che pure tanto piacciono ai patrocinatori ministeriali o comunali che siano. Insomma distillando da questi due esempi una metafora antropomorfica potremo dire che il teatro tradizionale "non è" né un vecchio decrepito né un morto riesumato.

Per dire invece cosa sia ci rifaremo ad una forma artistica non specificamente legata alla scena, ma che pure può aiutare a farsi un'idea più chiara riguardo al nostro ragionamento. Nel rinnovato Teatro Palladium, il Romaeuropa Festival presenta in questi giorni Danzando Lolita, dello scrittore Stefano Benni, il danzatore Giorgio Rossi e il musicista contemporaneo Paolo Damiani, spettacolo in cui la lettura di venti brani dal romanzo di Nabokov da parte di Benni è organicamente fusa con un flusso fisico e sonoro di impulsi ed illuminazioni orbitanti attorno all'asse letterario.

Non si tratta però di una lettura con danza e musica, in cui tre linguaggi coesistono, quanto di una forma unica, bio-complessa.

La colonna vertebrale del lavoro, costituita da una scelta di passaggi testuali, consente di seguire agevolmente lo sviluppo strutturale della vicenda in un viaggio attraverso Lolita che non semplifica il materiale originario, ma lo frammenta in nuclei dinamici che, ricomposti, formano una sintesi incredibilmente organica, in cui il flusso emotivo del romanzo scorre senza particolari sofferenze. Non c'è quindi volontà di tradurre il linguaggio narrativo in un analogo teatrale, piuttosto si cerca di creare "un respiro nello spazio" per la pagina.

La danza e la musica, come sangue e pensiero, nella loro incredibile aderenza col tessuto letterario costituiscono allora un effetto "cubistico", in cui si svelano tutte le dimensioni del romanzo, le facce nascoste, le fantasie esuli e leggere. Il lavoro di Rossi e Damiani cerca dunque di restituire tutti quegli stimoli che la lettura in pubblico potrebbe disperdere, tutti quegli scintillii che avrebbero bisogno di una pausa, di un silenzio, nel loro zampillare e riflettersi nello spazio. I danzatori li raccolgono e iniziano a filarli come una trama complessa e quasi autonoma, che si tesse mescolandosi con gli umori della musica e le apparizioni oniriche e incredibilmente sensuali di un disegno luci magistrale. E' subito restituita all'opera di Nabokov quella luce autentica non di romanzo scandaloso, ma di romanzo in cui si affonda nello scandalo dell'amore e della sua purezza.

Tutto questo però funziona per la perizia e il rigore assoluto, quasi matematico cui questo orbitarsi attorno di codici performativi fisicamente costringe. Ne nasce allora un'opera calibrata nei piccoli dettagli, nelle sfumature di luce e di movimento, di suono, in cui gli artisti si mettono a servizio dell'opera nabokoviana con umiltà per per poterne percorrere i picchi aspri senza smussarli e affondare nei suoi capogiri senza perdere la coscienza della caduta e pure senza salvarsi.

Danzando Lolita è un lavoro complesso, che è da considerarsi innovativo non per la sua forma, ma per il fatto che sia riuscito tra i mille fallimenti dei suoi simili. Quest'esperimento, infatti, nel momento della presentazione supera la poco interessante identità di terra d'incontro tra linguaggi e individualità artistiche (che compete al processo realizzativo durante le prove) e si pone come spazio sensibile di fusione tra la fantasia dello spettatore e le immagini, i ritmi, e i luccicanti riflessi del testo. Alla fine, tra il pubblico sinceramente soddisfatto, sono pochi a non sentire lo stimolo a prendere o riprendere quel capolavoro novecentesco, vangelo apocrifo dell'amore impossibile, che è Lolita.

Così per concludere il ragionamento d'apertura si dirà che Danzando Lolita restituisce in fine alla forma scritta quella dimensione orale e pubblica che tradizionalmente gli è stata propria fino ai secoli più recenti, e lo fa nell'unico modo possibile, cioè attraverso una sintassi scenica che non può prescindere dall'espressione contemporanea.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -