Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


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Questa sera si allestisce a soggetto  
Massimo Castri debutta con Questa sera si recita a soggetto e ammutolisce Pirandello.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Quando si recita a soggetto, cioè quando si prende a prestito una "novelletta" per farne uno spettacolo teatrale concertato sul momento, o quando si prende un testo teatrale per farne un allestimento particolare, possono succedere molti inconvenienti.

Può darsi infatti che gli attori, a metà dell'esperimento si rivoltino contro il direttore di scena e lo caccino via, come accade appunto nell'ultimo capitolo della trilogia pirandelliana detta del "teatro nel teatro". Oppure può capitare che si perdano per strada elementi determinanti del testo, la cui assenza riduce il tutto ad una pantomima davvero poco significativa come nello spettacolo di Massimo Castri, che dopo il debutto al Biondo di Palermo approda all'Argentina, secondo coproduttore oltre allo stabile siciliano.

Un piccolo cappello, questo, per riferirsi al fatto che nel suo Questa sera si recita a soggetto, Castri sceglie deliberatamente di eliminare il finale pirandelliano per sostituirlo con una sfumatura "cinematografica" che avvicenda al canto della protagonista, Mommina, un playback operistico del Trovatore su una scena costruita e mimata ad hoc da alcuni attori. Si lascerebbe volentieri da parte la questione di gusto su questo minuto finale, se esso non costringesse oltretutto la povera Manuela Mandracchia a vagabondare per una decina di minuti in platea al fine di consentire la ricostruzione a sipario chiuso della suddetta chiusa melodrammatica.

Ma come si è detto non è la questione di gusto ad essere importante, quanto quella della correttezza nella lettura del testo e nell'organicità dell'allestimento.

Stupisce particolarmente che in un'opera, quella pirandelliana, che gioca sulla metateatralità come elemento strutturale, Castri decida di inserire un ulteriore livello metateatrale di propria sponte, e che, tra l'altro, appare in questo ultimo minuto senza affondare radice alcuna nelle due ore e mezzo precedenti.

Stupisce perché il gioco pirandelliano in tal proposito è molto ben giustificato, passaggio dopo passaggio, con i molteplici richiami e echi di ritorno che sono tratto costitutivo e forse anche ossessivo di tutta la sua letteratura, così che in questo quadro il suddetto finale fa un po' l'effetto di una toppa cucita su un arazzo.

Tale dettaglio apre uno spiraglio su quello che è tuttavia il vero problema di questo spettacolo, cioè quell' "allestire a soggetto", di cui si faceva riferimento in apertura. Il finale decurtato mutila, appunto, due fatti importanti del testo, determinando una significativa conseguenza. Spariscono la morte-svenimento di Mommina e l'ultima apparizione del Dr. Hinkfuss. Così da una parte viene sfumato, ma di fatto eliminato il tema del rapporto tra realtà e finzione, e dall'altra viene a mancare il ritorno del direttore di scena, apparizione chiave nella logica del testo.

Nell'originale pirandelliano Hinkfuss, cacciato via dagli attori, resta infatti dietro le quinte, come demiurgo, a dirigere la macchina in silenzio, a far sì che tutto monti fino all'epilogo di cui egli è responsabile. Tutto infatti gira come un orologio perfetto, al punto che il finale della rappresentazione coincide perfettamente, fisicamente con quello della novella "Leonora addio!" da cui l'esperimento scenico prende le mosse, cioè con la crisi cardiaca dell'attrice in scena e il suo svenimento, coincidente con la morte per infarto del personaggio.

Affatto diverso è l'allestimento di Castri che, se si osserva a fondo, non "taglia" il finale, ma lo "cambia". Hinkfuss infatti non viene tagliato solo nella sua ultima uscita. Il personaggio del direttore di scena, che nell'interpretazione di Vittorio Franceschi perde già parecchio dei suoi tratti essenziali, è infatti eliminato a metà dell'atto III, quando cioè gli attori gli imporranno l'aut aut: "O via lei, o via noi!". Da lì pare che Hinkfuss se ne vada veramente via dal suo teatro. Prova ne è il fatto che il terzo atto, la scena del Verri e di Mommina, non monta affatto e per gli spettatori è una noia mortale. Non succede nulla, due attori si scambiano una raffica di battute, ma non c'è altro. Le crisi cardiache di Mommina sono palesemente "recitate" e il tergiversamento finale in platea è addirittura inconsistente.

Il fiasco del terzo atto dello spettacolo di Castri potrebbe dipendere, dunque, da un movente drammaturgico, cioè che sia stato deliberatamente fatto fuori quel personaggio che da dietro le quinte, "assieme agli elettricisti" aveva iscritto nel proprio ruolo quello di assistere con le proprie macchinerie gli attori portandoli a sfiorare la verità assoluta. Così tornerebbero tutti i conti tranne uno: se nessuno manovra gli effetti (qusi non ce ne sono infatti in questa parte dello spettacolo), chi fa costruire in dieci minuti una scenografia da opera lirica assolutamente fuori luogo nello spazio della scena? (Hinkfuss probabilmente non avrebbe comunque concluso così).

Tutte le altre letture, all'infuori di questa particolarmente cervellotica, hanno un'unica conclusione: Castri manda a ramengo tutta la baracca e non si capisce perché abbia messo mano ad un testo tanto chiaro sul piano tematico per poi farne un pasticcio privo di senso. Inoltre la colpa dell'avvilente terzo atto sarebbe da dividere tra gli attori e la regia. Ma anche volendo rifarsi alla prima interpretazione proposta restano diverse perplessità sulla necessità di tale stravolgimento drammaturgico, che non si dimostrerebbe neppure particolarmente coerente in sé.

I lettori sanno che qui non si critica mai lo stravolgimento di un testo, anche nella maniera più paradossale, purché alla deposta idea chiave dell'autore il regista ne sostituisca una altrettanto chiara e circostanziata.

Per il resto si dirà delle scene, curate da Maurizio Balò, che sembrano bozzetti da manuale, buone per qualunque Questa sera si recita a soggetto, senza sviluppare però un particolare rapporto funzionale con quello in questione, e degli attori, tra i quali si segnala Valeria Moriconi, che mettendoci del suo fa quel che può.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -