Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Esportare la peste  
Il festival Corso Polonia, organizzato dall'Istituto Polacco espone il pubblico italiano all'infezione dei propri artisti in cui brilla una coscienza che qui pare perduta da tempo.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Difficilmente ci fermiamo per due settimane su una manifestazione dedicandogli altrettante copertine, ma stavolta ciò significa rilevare il valore non tanto di una manifestazione, quanto di una mentalità differente da quella italiana.

L'Istituto Polacco di Roma, con la prima edizione del suo festival Corso Polonia ha impostato un discorso con la cultura del nostro Paese basato non tanto sullo scambio di souvenir istituzionali, come potrebbe essere l'esportazione di quei registi che fanno parte della tradizione perché operavano già negli anni del paleolitico o perché hanno ricoperto la direzione dei teatri di stato. Sulle strade dei fori, su cui si sono svolti gli spettacoli sono transitati gruppi che oggi fanno la differenza a casa loro e nel resto dell'Europa. Per notare la differenza mi basterà dire che le istituzioni italiane gruppi come la Raffaello Sanzio o il Teatro Valdoca non li fanno girare neanche qui, figuriamoci promuoverne la presenza all'estero (dove comunque circuitano abbondantemente grazie alla loro qualità).

Così dopo Gardzienice (vedi critica in archivio) ci pare giusto dover accennare alla presenza di un altro teatro il cui passaggio non dovrebbe passare inosservato. Al Carcere Mamertino, il Teatro Biuro Podrozy ha allestito due spettacoli di strada. Due assalti improvvisi legati a temi molto distanti, da una parte la guerra nella ex-Jugoslavia, dall'altra un racconto picaresco dagli accenti gotici. Carmen Funebre e Manoscritto di Alfons van Worden sono le due performances che hanno restituito ad una forma spettacolare, che in Italia, non tenendo conto della degenerazione attuale, ha fermato i suoi fasti negli anni Settanta, tutta la sua forza espressiva e stupefacente attraverso il recupero della tradizione da cui lo spettacolo all'aperto deriva e che lo fa antenato del teatro moderno. Entrambi i lavori si costruiscono infatti richiamandosi alla struttura delle sacre rappresentazioni. E come esse stabiliscono col pubblico quel rapporto singolare basato sullo stupore e sulla meraviglia. Ma questa volta è uno stupore all'inverso. Non è infatti la sofisticatezza delle macchine a lasciare stupefatti, quanto la loro rudimentalità. Non è la profusione di effetti speciali, ma il loro essere così poco "speciali". Con ciò non si vuol dire che siano ingenui, al contrario. Uomini sui trampoli, fiaccole, fisarmoniche e campane, cavalli bicipiti su tre ruote sono strumenti che di per conto loro non prendono vita se non vengono caricati dalla passione degli artisti che li dirigono.
Il teatro scende in strada e incontra il pubblico stregandolo con la forza della propria passione e della propria tecnica antica. Sembra un proclama rivoluzionario buono per questi tempi e per questo naufragio culturale, invece è stata la realtà dei fatti. La sera delle rappresentazioni, infatti, oltre agli spettatori informati dell'evento folti gruppi di visitatori dei fori, di extracomunitari e di custodi affacciati alle finestre si univa all'agorà.

L'alto valore dei lavori diventa dunque uno strumento funzionale ad un compito più alto rispetto a quello di fornire un buon prodotto. Intendo unire persone, raccoglierle attorno ad un tema, attorno ad un'espressione, ad un atto rivoluzionario come il teatro non dovrebbe mai smettere di essere.

Per volersi ripetere... c'è da sperare che il passaggio del Teatro Biuro Pordozy non sia passato inosservato.


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -