Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







Mandaci una mail ›







Per acquistare online i biglietti dei teatri a Milano:
Ciak
Smeraldo
Nazionale

Alla ricerca di un teatro necessario  
Teatro e realtà sociali. La formazione bolognese Gruppo Elettrogeno propone una formula interessante.      
di Gian Maria Tosatti      

BOLOGNA - La ricerca di un teatro necessario ha guidato la riflessione aperta di questo (quasi) primo anno di LifeGate Teatro. Abbiamo posto domande alla scena con la pretesa che ce ne girasse delle altre. Lo abbiamo fatto con l'intenzione di provocare una dialettica che identificasse il Teatro come un'interlocutore sociale, politico, e se non è troppo ardito, esistenziale. Abbiamo cercato di disseppellire dalla coscienza del lettore un teatro di vera tradizione, che fosse assemblea, luogo di confronto, momento di domande che devono essere fatte e margine di messa in discussione dei ruoli sociali di ognuno.

Una parentela ci è sembrata di riconosce questa settimana in un progetto di particolare interesse. Gruppo Elettrogeno, una giovane realtà bolognese impegnata, tra l'altro, nell'interazione concreta tra arte e zone di disagio sociale, ha presentato una conferenza-spettacolo sul tema della detenzione col titolo emblematico di Il carcere in/visibile.

Un dibattito tra il pubblico e i rappresentati di quel mondo, in tutti i sensi, poco accessibile quale quello delle carceri si è sviluppato lungo la dorsale di un'azione teatrale documentaria basata sulla quotidianità dei detenuti e sui loro rapporti con la condizione di libertà ristretta.

Narrazione e riflessione si sono intrecciate seguendo il filo di quell'interrogatorio invertito che per una sera s'è fatto alla realtà carceraria italiana (nel suo campione bolognese) e rivelando una immagine poco rassicurante, ma forse proprio per questo stimolante per quella domanda segreta che s'è sentita correre tra gli spettatori e che chiedeva quale fosse in tutto questo il ruolo di ogni singolo individuo presente. Da una parte, dunque, un gruppo di relatori tra cui il direttore e il responsabile dell'area pedagogica della Casa Circondariale di Bologna, rappresentati delle associazioni di volontariato che operano all'interno delle strutture di detenzione, un magistrato di sorveglianza e alcuni detenuti. Dall'altra parte gli attori.

In mezzo il pubblico. Una platea su cui si sono infranti flussi più o meno violenti di inquietudini e di disagi, di risposte, a volte evasive o inadeguate, di crudezze al di fuori di ogni spettacolarità riportate a riva dalla marea delle azioni performative dirette da Martina Palmieri sulla drammaturgia di Elena Di Gioia. Frammenti teatrali che hanno rappresentato non solo momenti illustrativi, ma nuclei drammaturgici mirati a portare nel concreto della quotidianità, della vita vera, i moltissimi temi emersi. Un teatro per fare informazione, documentazione, molto vicino a certe possibilità del giornalismo moderno, in cui la scena si dà un compito chiaro e preciso, quello di fornire strumenti concreti di conoscenza al pubblico, e al contempo di suggerirgli domande più intime, segrete attraverso l'apertura delle mura che circondano realtà solitamente escluse dalla nostra attenzione.

La presenza di detenuti o ex detenuti venuti a portare la loro testimonianza, ha in questo senso innescato un dialogo complementare coi quadri scenici per rendere più ampio possibile lo sguardo sui problemi reali, sulle difficoltà di una vita cui vengono tagliati i ponti con l'esterno. Tagliare quei ponti significa, infatti, non solo agire sul presente del carcerato, ma infettarne il tempo, espiantare un un essere umano dal proprio tempo sociale, procurando terremoti nel presente e sconnessioni con un futuro che può essere difficilmente recuperabile nel concreto.

"Passano pesanti le giornate quest'anno" - in frasi come queste la sintesi di una condizione umana che non può e non deve essere aliena al cittadino vivo di una comunità che pone interrogativi continui, interrogativi che determinano i destini di migliaia di uomini. Così uno dei detenuti si domanda quale sia la sua possibilità di non tornare a delinquere una volta libero se non gli verrà garantita dalla società, impersonata in questa recita proprio dagli individui-spettatori, ma anche dalle strutture e istituzioni presenti, una possibilità concreta di riscatto.

Poche e confuse, infatti, le risposte su ipotesi di concreta progettazione finalizzata al reintegro dei "liberati" nel tessuto sociale.

Tra i moltissimi è emerso appunto un interrogativo macabro, che questa occasione artistica ha avuto il merito di sottolineare. Qual è il senso di "custodia"? E' possibile che custodire possa voler dire pregiudicare ancora?

E da questa domanda si torna a quella dell'origine: quale è il ruolo di ogni singolo individuo spettatore rispetto a tutto questo?

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -