Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


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Se nulla aggiunge...?  
Baliani debutta a Prato col suo Straniero di Camus.      
di Gian Maria Tosatti      

PRATO - Lo straniero di Albert Camus è forse uno dei libri che hanno segnato maggiormente le coscienze di una certa parte di questa civiltà. Lo ha fatto non in maniera sonora, fulminante, ma segreta quasi, discreta. Meursault è l'erede del Bardamu nel Voyage di Céline, di Huguenau nei Sonnambuli di Broch. Ne è l'erede nel momento in cui il gran chiasso è finito, il mondo inizia a prendere un assetto stabile e in fondo "si finisce per far l'abitudine a tutto".

Rispetto ai padri del secolo che ci ha visti nascere quella di Meursault è una generazione successiva, più prossima alla nostra, perché già figlia del Novecento.

Allora le sue parole appaiono come appartenenti ad un vocabolario che ci è noto perché quotidianamente lo percorriamo, lo logoriamo. Ecco perché le parole di Camus risuonano nelle teste e nelle bocche dei lettori d'oggi come echi di pensieri profondamente abitati, di notte.

Non stupisce dunque che se un professionista come Marco Baliani ripercorra il libro di Camus nel suo omonimo ultimo spettacolo, ne derivi al pubblico un certo piacere e, se si può dire così, una certa emozione. Dico questo perché molti applausi hanno salutato il suo debutto al Fabbricone di Prato. Applausi che da un'analisi del lavoro non possono che essere attribuiti al romanzo e al limite alla professionalità del suo buon "lettore".

Oltre che relativamente interessante per chi abbia già letto il testo, il nuovo montaggio del racconto non aggiunge fattori determinanti alla performance e il fatto che non vi sia ne azione né narrazione in scena fanno sì che l'impianto cui si fa riferimento risulti un ibrido che sottrae forza alla pagina.

Personalmente sono convito che il libro, qualora non venga trasformato radicalmente dagli strumenti del teatro, continui ad avere un vantaggio nei confronti dello spettacolo, esso infatti dipana le sue tematiche e la sua poetica con tempi e strumenti che gli sono naturali perché iscritti nella sua genesi.

Questo Straniero allora finisce col fare i conti proprio con tale problema. Superando infatti l'inizio relativamente disastroso, in cui la parola fluttua come priva di direzione, ulteriormente disorientata dall'amplificazione artificiale, il monologare dell'interprete riesce a risollevarsi solo finendo per giustificarsi nella sua ritmica.

L'indeterminatezza di una situazione, di una necessità del racconto, teatrale o metateatrale (come lo è per i monologhi più celebri di Baliani), si paga poi particolarmente nello spazio, in cui appare chiaro che non basta una bella scenografia per fare uno spettacolo. Baliani, su una pedana sospesa nel buio, si muove compiendo una serie di spostamenti che sono per lo più coreografici, ma che in ogni modo non hanno mai il valore d'azione e non dimostrano d'essere intimamente connessi con lo spirito del testo, neanche nella dimensione più beceramente intellettualistica.

In questa direzione può essere analizzata anche la lingua usata. La scelta è caduta sul rispetto della scrittura camusiana, tenendo conto che essa per sua natura si costituisce come monologica. Ciò evidenzia però una leggerezza che non ci s'aspetta da un artista come Baliani. La lingua di Camus è infatti ordinata in un monologo per parola scritta, che può reggere in una struttura drammaturgica antinaturalistica (vedi Al presente di Danio Manfredini o paradossalmente Teatro da mangiare? delle Ariette), ma che non risulta credibile, oltre a soffrire il rapporto di fusione ritmica con l'azione e lo spazio, in un contesto relativamente tradizionale.

Non che questo sia un cattivo spettacolo, che sia fatto male, perché in fondo nella scena contemporanea esso mantiene una certa dignità, pur nei limiti che mostra. L'unica obiezione è che esso non va oltre la pagina e di conseguenza nemmeno la eguaglia, in sintesi non sembra necessario, così come gli inserti video firmati da Mario Martone. Da qui la domanda che si propone da sé: se nulla aggiunge...?


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -