Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Impressioni strettamente personali e un po' arroganti sulla Molly dei Marcido.  
Molto pubblico al Vascello per Bersaglio su Molly Bloom.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Molly Bloom e la sua grande conchiglia. Così i Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa affrontano le cinquanta pagine che forse hanno segnato il più significativo contributo narrativo del '900. Le affrontano sì, e nell'accezione più aggressiva di questo termine. Bersaglio su Molly Bloom è il titolo di uno spettacolo-concerto che solleva impietosamente le lenzuola di Penelope, ne scopre la maturità delle carni languide e vizze, lo stupore e la lascivia, la fragilità e la noncuranza. Tutto questo di colpo, nel violento frastuono dello sparo. Penelope, o Molly, però, è davvero sotto quelle lenzuola?

Ho apprezzato la chiarezza poetica che distingue questo lavoro del gruppo piemontese, in cui si vede chiara l'intenzione di colpire un bersaglio e metterlo k.o., di aggredirlo e demistificarlo, di renderlo "Marcido".

A far questo undici attori incatenati ad un'architettura archetipica, una conchiglia in cui essi si dimenano come molluschi attaccati alle scanalature del guscio.

Undici figure bianche in piccoli sarcofagi a richiamare la dimensione mortifera del ventre di Molly. Quello che tuttavia mi lascia perplesso è se il rapporto stabilito con questo specifico testo rappresenti per la compagnia uno stato di necessità.

La combinazione di tempi ritmi e voci, come d'un'inquietante orchestra di figli mai nati, rende il flusso joyceano in un registro (sottolineo "un", perché è unico) fortemente impersonale, che per certi versi imbriglia la scrittura forzandola in un numero limitato di binari. Il gioco della lettura multipla ed orchestrata da Marco Isidori si dimostra una sonata che finisce per essere buona per tutte le zuppe.

Tecnicamente encomiabile, è vero, e su questo non ci piove, ma credo che il problema vero risieda nella incapacità di questo spettacolo a stabilire una relazione profonda con il testo, questo testo. Bersaglio però, mi correggo, a dire il vero, pare proprio "non voler" penetrare Molly, non voler scivolare dentro le pieghe della sua pelle, nel tessuto della sua biancheria, non vuole stare nella stanza dei Bloom quando lei si fa prendere da Leopold, e non vuole essere nel suo desiderio quando vorrebbe trovarsi in un altro letto. Non vuole stare nella sua paura ad osservare le implicazione profonde del proprio pensiero fisiologico, né nel suo sorridente sfacelo. Questo lavoro vuole essere tangente alla figura di Molly. Non vuole seguirne il flusso, ma dettarne uno.

Questa lettura, a parte la sua spazializzazione, esiste indipendentemente da Molly. Nel buio della sala, con la mia fantasia ne ho immaginate una quantità di possibili varianti, da Celine a Camus. L'impressione che mi è derivata da tale riflessione è quella di un uso pretestuoso di Joyce.

Personalmente sono portato a credere che in teatro, tutto quanto non si dimostri necessario finisca per diventare inutile, a meno che non ci si trovi in una fase dichiarata di studio.

Chiudo questa riflessione, atipica per queste pagine, con una nota dovuta. Nelle ultime settimane ho potuto vedere il Teatro Vascello quasi sempre esaurito. Erano anni che non succedeva né al teatro di Nanni, né alla stagione contemporanea dell'Eti (al Valle). Rimane stabile la mia posizione critica su questo binomio, ma non posso non lodare lo "sforzo" promozionale dell'Eti che è finalmente riuscito a riempire un teatro di quattrocento posti in una metropoli con quattro milioni di abitanti. Sono piccoli passi, ma se non ci fossero nemmeno quelli...


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -