Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Almeno il mestiere, per favore.  
Poca soddisfazione per il Guardiano di Pinter messo in scena da Krypton      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Il Guardiano è uno dei primi testi di Harold Pinter, uno di quelli che ne hanno messo in luce la spietatezza drammaturgica, l'implacabile precisione analitica sia dal punto di vista tecnico che concettuale, e la complessa trama drammaturgico-espressiva.

Al teatro Vascello di Roma, nella Stagione curata dall'Eti, la Compagnia Teatrale Krypton, dopo circa tre anni di repliche torna in scena con il testo pinteriano dandoci la possibilità di osservare un lavoro che non può che suscitare qualche perplessità.

Non molto da dire al riguardo, perché fondamentalmente risuterebbe complesso strutturare un discorso che vada a recuperare da quanto visto la sottile logica pinteriana, fatta di stanze e porte su cui si aprono altre stanze e d altre porte in una fuga abissale perduta nelle oscurità del singolo spettatore.

In questo lavoro ogni cosa appare infatti come pienamente risolta, o meglio, finitamente risolta, quasi per lo più ferma a delle "estreme" soluzioni sceniche.

Tutto ha di per sé un canone espressivo abbastanza piatto e definito, che suggerisce con una chiarezza quasi spiazzante allo spettatore attento l'idea che nessuna indagine venga svolta di giorno in giorno dall'ensemble performativo all'interno del territorio che essi stessi provano a calpestare. Tutto dunque è ciò che sembra e non potrebbe essere altrimenti. Non vale lo sforzo di cercare una profondità laddove le soluzioni estetiche ci presentano una piattezza oppure la totale astrazione concettuale che ovviamente si rivela inafferrabile dal punto di vista "esistenziale".

La voglia, che forse un certo gusto per il ruolo attivo dello spettatore ci porta a giudicare non-necessaria, di metaforizzare la metafora del testo porta spesso a soluzioni di estrema elementarità concettuale. Una finestra su cui si frangono delle pietre, il precipitare di un codice letterario diventano una linea semiotica che in realtà non apre alcuna ferita e sta lì appoggiata alle pareti di carta dello spettacolo come un post-it critico che sembra dire: "abbiamo capito".

In scena poi si mostra un lavoro che può essere riassunto tutto nell'esempio descrittivo dell'uso del linguaggio attraverso l'espressione dialettale che riduce le possibilità di una ipotetica intensissima dialettica di attriti ad una macchietta del milanese (tipo Christian De Sica in "Sapore di mare" dei Vanzina) per cui non temo esagerazione nel definirla "tecnicamente imbarazzante".

La chiusura sta tutta in una riflessione che accetta l'eventualità di un'opera non riuscita sotto il profilo dell'ispirazione o della ricerca profonda, ma che non può fare altrettanto nel momento in cui non vi sia neppure il mestiere a tenere in piedi l'esperienza performativa.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -