Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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E adesso con la Canoa di carta ci faccio barchette e aeroplanini?  
Salt, l'ultimo spettacolo dell'Odin Teatret, mette in luce una profonda incoerenza nella poetica di Eugenio Barba.      
di Gian Maria Tosatti      

"Sono sbarcata in quest'isola alla fine del pomeriggio. Dal ferry vedevo avvicinarsi la cittadinanza bianca e pensavo: forse è qui". L'odissea di una donna innamorata attraverso i porti del mediterraneo, i suoi popoli, i suoi odori e colori, le luci e le attese inizia con queste parole. E così inizia anche l'ultimo spettacolo dell'Odin Teatret che dopo il debutto di Pontedera è arrivato a Milano per Oltre 90. Salt è il titolo che Eugenio Barba ha dato a questa struttura per due attori tratta dalla Lettera al vento di Antonio Tabucchi, un testo lirico che pure oscilla tra il cogliere l'assoluto valore dell'istante e la tensione di un viaggio iniziatico a ritroso incontro ad una coscienza altra.

Lungo le vie affollate delle città greche o nordafricane, sulle terrazze che annegano nel tramonto d'estate, sui volti dei passanti si consuma il cammino della protagonista, la sua ricerca di un uomo che forse esiste o forse no, un uomo di sale, una presenza che lentamente scompare sotto il crescente peso della sua assenza.

Roberta Carreri dà corpo e voce a quest'amante tesa nel suo procedere oltre una peregrinazione che non conosce alcun punto di arrivo e che tesse una tela di memoria quasi a catturare il tempo e a disperderlo.

Passo dopo passo il suo cammino verso lo scomparire appare come una danza sulle note che giungono dalla rarefazione di Ian Ferslev, cui è affidato il ruolo dell'uomo. Nella struttura immaginata da Eugenio Barba il vero spunto interessante è l'ambiguità delle prospettive.

Dove siamo? Forse nel presente del racconto di lei? O nella lontananza dell'uomo che segue il viaggio della donna lungo le righe di una lettera affidata al vento?

In questo continuo oscillare tra il presente e "l'a posteriori", si chiuderà la vicenda di corrispondenze immaginate e lontane ogni oltre distanza colmabile dalle forze umane.

Il risultato è uno spettacolo che piace in forza del testo e del lavoro degli attori, ma ad un occhio leggermente più esigente appare una serie di note negative che forse in questo caso per motivi di coerenza ci sembrano particolarmente gravi. Oltre infatti ad errori abbastanza grossolani di regia riguardo alla gestione dei ritmi che a volte affondano in una ripetitività che non trova sbocco per la trasformazione, e alla costantemente perduta lotta contro oggetti la cui (resistibilissima) forza non riesce ad essere domata, si apre l'interrogativo più inquietante che riguarda la necessità di certi oggetti od effetti più o meno riusciti nella logica strutturale e di senso all'interno dello spettacolo. Davvero bella la pioggia di sale alla fine, un po' meno la caffettiera che per metà dello spettacolo sta in prima linea mettendo un po' in ombra tutto il resto. Ma essi restano effetti che non si integrano mai organicamente con la struttura e che non compiono all'interno di essa un cammino di trasformazione-evoluzione di senso.

Nel teatro commerciale tutto questo non desterebbe sospetto, ma la stonatura rispetto al percorso personale (espresso peraltro in forma di libro, e se è vero che "scripta manent"...) di un maestro come Barba, anche tenendo conto delle sue linee di ascendenza, appare davvero enorme e ingiustificabile.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -