Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Woyzeck, avete un'aberratio!  
Il Woyzeck di Wilson e Waits: opera bellissima solo da guardare.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Debutta in un clima poco familiare al teatro italiano il Woyzeck di Bob Wilson e Tom Waits, inserito nel quadro del Romaeuropa Festival, che quest'anno fa un ulteriore passo avanti nella qualità della sua offerta dimostrando forse una cosa assai importante in questo momento, cioè quella di saper portare a teatro la gente. Biglietti esauriti da un mese al teatro Valle dunque, che ancora per poco tempo vivrà gli ultimi respiri di una stagione gloriosa bruscamente interrotta dalla disastrosa distribuzione delle cariche pubbliche nell'ambito della cultura. Prima di tornare a ricoprire il ruolo di ribalta secondaria per quelle compagnie da teatro per gli anziani non abbastanza brave per far addormentare i pubblici di Argentina, Eliseo e Quirino, il teatro, che durante la gestione Marinelli fu faro della proposta contemporanea, si fa ancora spazio dell'arte per due maestri indiscussi come il regista ed il musicista americani.

Quello che si vede da subito è un impianto enorme, un lavoro curatissimo sia dal punto di vista scenico che drammaturgico (includendo nell'attributo anche la parte musicale). Wilson ha la capacità di stupire anche il pubblico più smaliziato con la sua eccezionale capacità di inventare scenografie fatte di luci e in questo spettacolo si dimostra maestro nell'interazione viva tra gli spazi mutevoli e l'azione degli attori.

Ma senza tanti giri di parole, a parte la prestazione degli interpreti, autori di una prova da antologia del teatro che raramente negli ultimi anni ha trovato pari, quello che salta all'occhio di questo lavoro, che comunque si mantiene a livelli altissimi dal punto di vista tecnico, è la lotta interna che si sviluppa tra il testo buchneriano e la lettura dei due autori.

C'è, nell'intenzione di Wilson e Waits, la sottile superbia di aggiungere qualcosa, di trovare una linea d'unione alla frammentarietà dell'opera. Waits la traduce spesso con soluzioni che faticano ad integrarsi e che si presentano come lunghe appendici cantate alle scene recitate, in cui i dialoghi trovano il loro compimento attraverso aggiunte azzardate o ripetizioni ossessive.

Spesso il problema sta nella capacità di mantenere un'unità ritmica o un diacronia dinamica tra il momento del testo e quello della canzone, ma a volte il problema si allarga e assume un carattere più intimo, di coerenza ontologica.

Sembra svilupparsi una resistenza fortissima e sfiancante tra il logorio lacerante dei dialoghi scritti da Buchner, che non lasciano spazio al respiro e in cui tutta la realtà appare vertiginosa e scarnificata, e le dolci melodie dagli echi anni '50 americani con cui spesso si tira tardi in scena.

Quello che appare inconciliabile è che alle battute del soldato Franz Woyzeck, che normalmente hanno un registro sul tipo: "un bel cielo fisso, grigio, verrebbe voglia di attaccarci un chiodo e impiccarcisi", siano aggiunti dei fraseggi cantati in cui si rivolge a Maria dicendole: "You're my Coney Island Baby". In questi momenti anche Wilson sembra perdersi e trovarsi in situazione di stallo registico. Da ciò discende il resto delle incongruenze in un impianto che non fa arrivare al pubblico né lo spirito del testo né quello misterioso di questa lettura che a volte ammicca a cabaret tedesco d'epoca weimariana, ma che per lo più si porta avanti coi sentimentoni del musical, dimostrando anche a due maestri come Bob e Tom che forse Broadway è ancora troppo vicina per affrontare Woyzeck.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -