Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 35
Dal 06/05/2024
al 13/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Note a margine di Professor Bernhardi.  
Alcuni spunti dall’ultimo spettacolo di Luca Ronconi.      
di Gian Maria Tosatti      

Isolare il fatto rilevante in uno spettacolo come Professor Bernnhardi non è cosa facile. Perché stavolta, come non accadeva ormai da qualche anno, la regia di Luca Ronconi realizza un’opera cristallina, un sistema di forze perfettamente bilanciate, che muove la sfera del discorso schnitzleriano attraverso un secolo, portandola allo spettatore odierno come una lente attraverso cui poter fermare la sintassi della cronaca quotidiana e potervi leggere tra le righe tutti i grotteschi e preoccupanti risvolti, mantenendo per una volta saldi l’oriente e l’occidente di riferimento.

Insomma quello di Ronconi è un grande spettacolo, in grado di assurgere appunto a quella funzione fondamentale di specchio scomposto che compete al teatro.
Professor Bernhardi è un ritratto cubista della realtà. E’ un tableaux costituito dalla somma dei dettagli che fanno un quadro unico e cinico sull’impotenza di fronte alle determinazioni del potere.

Ma se va riconosciuta la straordinarietà della creazione in sé, credo non si possa prescindere anche dalle condizioni che l’hanno determinata. Da una parte l’elemento noto di una ricerca ormai perfetta tecnicamente sulla scomposizione della parola, che qui assume anche un senso fortemente sociale. Dall’altra l’elemento nuovo di una presa di posizione dichiarata del regista di fronte ai fatti politici che oggi animano il balletto delle sorti di questo Paese.

Se ne aveva avuto il sentore con la querelle un po’ ridicola che precedette la rappresentazione siracusana delle Rane di Aristofane, in cui campeggiavano i ritratti demoniaci di Berlusconi e compagnia. Ma quell’episodio sembrava contraddistinto più dall’amore ronconiano per certe “bravate” un po’ fine a sé stesse. E così in fatti si concluse.

Questa volta il discorso è diverso. La scelta del testo. La caparbia di concepire un’analogia puntuale che rinunciasse a soluzioni urlate e pittoresche, ma si misurasse con la possibilità di creare uno strumento di analisi assai più efficace di una bandiera caricaturata. Attraverso il dramma egli apre ogni sillaba, rende acuminato ogni accento e il filo del discorso diventa un filo del rasoio. Per questo estrae dal suo cappello magico un’opera per lo più ignorata dello Schnitzler drammaturgo.

Quasi francescanamente Ronconi non si permette nulla, niente macchinerie, niente soluzioni scandalose (vedi Gabriel Garko a fianco della Melato in Quel che sapeva Maisie di H. James). Solo la parola. E i quadri statici. Di una bellezza luminosa. Retti da due colonne quali Massimo De Francovich e Massimo Popolizio.

In questo spettacolo che dunque apre come un ventaglio il corpo drammaturgico a tutti i suoi sottotesti e ai puntuali contrappunti con la realtà odierna, c’è tutta la volontà di prendere posizione, o meglio di far prendere posizione al palcoscenico. Di rimetterlo al centro della polis, o meglio della sua aristocrazia ancora in grado di muoversi da davanti alla televisione.

Una scelta di estrema chiarezza intellettuale che si rispecchia anche nell’impostazione del progetto torinese per le Olimpiadi 2006, in cui, tra i cinque testi da mettere in scena figurano titoli che pare abbiano parecchio a che fare con la realtà contemporanea, dal Troilo e Cressida all’Annibale, passando per i due testi “scientifici” sulla bioetica e sulla finanza e per il carteggio intitolato non a caso: Il silenzio dei comunisti.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -