Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 35
Dal 06/05/2024
al 13/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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L’impegno politico dei maestri  
Editoriale      
di Gian Maria Tosatti      

Sulla rete, tra un sito porno e l’altro* ci siamo anche noi. Ma non vi preoccupate. Togliamo subito il disturbo. Tuttavia, ci si lasci chiudere in bellezza. E preparare un paio di numeri come si deve.
Quello presente dal titolo emblematico di Caro teatro politico è un excursus temporale tra le pagine di un teatro che sta modificando alcuni dei suoi intendimenti. Dei suoi assunti di base.

Una volta tanto, come dovrebbe essere, sono i maestri a guidare la marcia. Non mandano in avanscoperta le solite teste di cuoio (che pure ad un certo punto andrebbero smaltite). Nelle scorse settimane due fari hanno illuminato a sufficienza la scena italiana da provocare qualche riflessione. Primo fra tutti a chi scrive.

Inizia Luca Ronconi, a Milano, col suo Professor Bernhardi. Rompe le reticenze abituali. Si prende stavolta tanto sul serio che non c’è spazio per la spettacolarità delle sue trovate pubblicitarie. Affila gli strumenti del suo magistero. E ne cava un’arma.
Chiude Peter Brook con uno spettacolo quasi scandaloso e un incontro che non è stato da meno. Tierno Bokar è un lavoro in cui non si vuole tenere conto di nessuna etichetta di stile, non si desidera venire incontro ad alcuna attesa. Un’opera lucidissima di teatro politico. In cui un maestro incontestabile. Abbassa il tono della voce e alza quello della posta in gioco. Una sequenza di parole-tracce. Pronunciate con la calma di chi decide di dire. A parlare è l’esperienza di un uomo che attraverso il teatro ha condotto la sua ricerca esistenziale.

Due maestri prendono la parola. Non ci sono proclami. Non ci sono fuochi d’artificio. La strada che scelgono è la devozione al proprio mestiere, e stavolta lo si può anche dire, alla loro arte.
Sullo sfondo la Societas Raffaello Sanzio, che rifonda la tragedia e con qualche anno di ritardo inizia a calcare i palcoscenici anche della Patria Italia.

Il teatro diventa un fatto politico atterrente. Il teatro diventa un fatto politico attraente.

Ma non c’è notizia in fondo. Ché il teatro fin dalla sua fondazione post-rituale nasce come fatto politico. Il teatro è espressione principe della Polis. Fin dalla Grecia Classica. Realizzato dagli artigiani. Dai cittadini. (Restano esempi di questa tradizione in casi come il Teatro Povero di Monticchiello, o anche, per estensione in certi carnevali).
Il teatro è una creazione politica. E’ lo strumento che la comunità rende acuminato per colpire il cuore dei problemi che l’affliggono. Gli attori, i registi moderni, sono i mastri di un grande cantiere. Coloro che conoscono l’arte della fusione dei metalli. I poeti sono quelli che sanno l’arte dell’incisione. Perché ogni spada deve recare una effige. Un motto. Un’anima.

Non abbiamo bisogno di armi stravaganti, di armi affascinanti, di armi abbacinanti. Armi precise sono quelle che servono.
Di questo avviso è Fabrizio Arcuri, regista dell’Accademia degli Artefatti. Il suo ultimo lavoro, Three easy pieces, su testi di Martin Crimp, vira nettamente verso un’estetica esemplare, un uso politico e non mediato della comunicazione teatrale. In un interessante articolo ci aiuta ad approfondire la nostra riflessione che prosegue con il prezioso contributo di Oliviero Ponte di Pino e di ateatro.it, che ci ha concesso tre articoli su presente e passato del teatro politico.

La chiusura va a Pier Paolo Pasolini. Che forse per noi è ancora troppo moderno. Magari tra qualche anno cominceremo a smontare l’icona e a farlo diventare un compagno d’azione.

*intendiamo per pornografia sia quella sessuale che quella intellettuale (?).

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -