Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 35
Dal 06/05/2024
al 13/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Tentativi.  
Introduzione a un numero monografico su un tema che ci interessa.      
di Gian Maria Tosatti      

Il teatro era una possibilità.
Non tanto l’arte
quanto la possibilità
di essere costantemente tra esseri umani

Thomas Bernhard – L’apparenza inganna

Questo numero è basato su un dossier prodotto da Lorenzo Donati sull’attività di AKSÈ, incontro-progetto svoltosi a Ravenna alla fine di gennaio.
E’ un racconto polifonico quello che segue quest’editoriale in cui i gruppi e gli osservatori che hanno preso parte all’evento cercano di fissare alcune riflessioni sulle premesse, sui fatti o sulle conseguenze di un incontro teatrale che nei suoi aspetti ricorda certe possibilità che il teatro si dava negli anni Settanta e che dilagò fino a diventare tratto peculiare di una intera generazione artistica. L’incontro, lo scambio, il baratto come si è spesso chiamato usando una terminologia barbiana, è stata una scoperta tarda del teatro e quasi una precoce dimenticanza.
Alle spalle di quella stagione mitica che partorì un numero esiguo di fenomeni e una ondata colossale di marmaglia non è rimasta che qualche maceria abitata da ingassati e paralizzati re del castello.

Dalla metà degli anni ’80 ad oggi l’idea di scambio artistico è stata progressivamente demistificata, derisa, a volte bandita. Come la convinzione-lezione che dagli altri si possa imparare qualcosa. I teatranti italiani hanno smesso di dialogare. Oggi, tutto questo è disabitudine. E lo scambio è un retaggio che non appartiene a questa generazione di vent’enni.
Eppure il 2005 si apre con AKSÈ, un progetto in minore, pieno di contraddizioni e anche di difficoltà, che tuttavia raggiunge il non trascurabile traguardo di essersi compiuto fino in fondo.

La domanda che viene istintivo porsi è se sia ancora possibile oggi pensare all’idea di baratto e di incontro integrale (non filtrato da paraventi e dissimulazioni).
All’indomani di un grande incontro svoltosi in autunno a Pontedera (luogo eletto storicamente ad esperienze di questo tipo) sembrerebbe di no. Quel festival pensato male si è dimostrato un disarmante fallimento. Prova ne sia il fatto che per quattro intere giornate non sia stato possibile impostatre alcun confronto reale fra gli artisti dal punto di vista metodologico, tecnico o poetico. L’ottusità di vecchi osservatori o vecchi teatranti ha paralizzato il dialogo. La possibilità di “mostrarsi agli operatori” ha reso impossibile il confronto su piani di onestà e chiarezza. Il corto pensiero, bassamente egocentrico, degli organizzatori ha tagliato il fiato a proposte alternative. Alla luce di questo evento AKSÈ ha il merito di chiarire alcuni aspetti del problema, primo fra tutti il fatto che è impossibile un vero convivio nella casa del padre. I padri, specie in teatro, si sa, vanno uccisi, inevitabilmente. E le cattedrali, rifondate, riedificate, di volta in volta, per non rischiare di marcire precocemente, di venire infettati dalla putrescenza dei loro vecchi abitanti.

Al CSA Spartaco di Ravenna, una costruzione prefabbricata in mezzo ad un prato di periferia in cui si sono incontrati artisti e osservatori appartenenti alla stessa generazione, senza mediatori o maestri, si compie quello che in un tempio storico del teatro fallisce miseramente.

Eppure non credo che AKSÈ sia da considerarsi come un primo passo verso l’edificazione di una nuova strada, o la riedificazione di una vecchia (che porta però verso un luogo sconosciuto e per questo necessario ad ogni uomo che cerca), quanto piuttosto la preparazione, la riunione che imposta il viaggio e dà l’appuntamento al giorno successivo, di mattina presto.
Per arrivare ad un primo passo dovremo aspettare che prima di tutto sia il teatro a muoversi verso AKSÈ, che si realizzi ancora una o due edizioni in cui il bacino dei partecipanti si allarghi fino all’apertura di conflitti metodologici dichiarati eppure conviventi coerentemente con lo spirito di agorà.

Abbiamo dato a questo numero un titolo che utilizza due parole che ricorrono spesso nel dossier di Lorenzo Donati, Baratro e Baratto. Le abbiamo messe in opposizione, ma in realtà esse corrono parallele. Non è vero che il Baratto è l’alternativa al Baratro. O meglio, è più vero che il Baratro corre parallelo al Baratto e sta in agguato. E’ vero che uno comprende l’altro. Ed è interessante leggere tra le righe come questa esperienza abbia condotto i suoi autori-partecipanti alla coscienza anche di questo problema. Tuttavia in questo gioco di parole che si somigliano mi pare si possa desumere una sorta di legge paradossale, una proprietà commutativa per cui si può partire dal Baratto per finire nel Baratro, così come si può partire dalla coscienza del Baratro per giungere alla necessità del Baratto.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -