Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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In bicicletta con La Memoria (nonostante il diluvio)  
A Ravenna Lady Godiva Teatro presenta Napoleone, una biclettata teatrale.      
di Lorenzo Donati      

A chi di noi non è capitato, parlando con persone anziane, magari nonne o nonni, di rimanere ad ascoltare episodi del passato, estasiati di fronte a tanta passione e voglia di raccontare? Chi non è rimasto affascinato, almeno una volta, per avere appreso avvenimenti della storia italiana direttamente da persone che li hanno vissuti, anziché averli letti sui libri? E chi non rimarrebbe rapito di fronte ai racconti “dal vivo” di uno che ha contribuito in prima persona alla liberazione dell'Italia dall'oppressione nazifascista, un partigiano?

Per tutti coloro che non hanno avuto queste possibilità, Lady Godiva teatro si sostituisce ai nostri avi, e ci riporta indietro di 60 anni, quando la 28° Brigata Garibaldi si apprestava a varcare le porte di Ravenna e a dichiararla liberata. Eugenio Sideri, regista e curatore dello spettacolo Napoleone (che era il soprannome di Umberto Ricci, uno dei partigiani del ravennate fra i più conosciuti) insieme con l'attore Enrico Caravita, prende per mano lo spettatore e lo conduce, in un viaggio in bicicletta, attraverso alcuni luoghi simbolo della città. Le strade hanno molte storie da raccontare, sono state “testimoni oculari”di eventi che non vanno dimenticati. Occorre solo imparare ad ascoltare ciò che hanno da dirci. Poco importa, poi, se per un maligno scherzo del destino, un’alluvione si riversa sulla città proprio il giorno dell'evento, costringendo a divenire immaginaria una peregrinazione ciclistica che si preannunciava teatralmente feconda.

Nel riparo del teatro Rasi, dunque, le poltrone della platea divengono tanti sellini, mentre la mente di chi guarda si sposta liberamente per le vie della città. Tre bizzarri personaggi, due uomini e una donna che dicono d’essere fratelli e sostengono di essere morti, passano le loro giornate a girare in bicicletta e a raccontarsi storie della Resistenza. Non ricordano nulla delle loro vicende personali, né di come siano morti. Eppure cercano continuamente di far riaffiorare gocce di ricordi. Questo tenace e irriducibile tentativo costituisce il filo conduttore della loro inafferrabile esistenza. Dov'è finita la memoria? Che fine ha fatto il passato? Tra le poche cose certe, la bicicletta. E l'uso che ne facevano i partigiani, le loro gesta, che i tre non possono evitare di narrare. Storie di fughe, di nascondigli, di messaggi recati rischiando la vita. Storie di famiglie morte ammazzate (“10 dei vostri per ogni tedesco ucciso”), di figli che assistono alla morte dei genitori, di gente che apre la propria casa per nascondere chi lotta. Storie di ideali più forti della morte, ma anche di “semplici” battaglie per il pane, di amori trafugati in improbabili momenti di intimità.

Ci sono storie che non vengono raccontate, ma che si raccontano da sole, come se il destino ne avesse sancito l'ineluttabilità. Così come pensava Pirandello nei Sei personaggi, la stessa idea viene alla mente vedendo i frammenti di vite partigiane incarnarsi nei corpi dei tre giovani ciclisti-morti. Che siano stati, anch'essi, combattenti per la Resistenza?

In una società che sta tentando di riscrivere i libri di storia, dove ci si sta sempre di più avvicinando alla mera omologazione fra nazifascismo e comunismo senza distinzioni alcune (tanti partigiani, occorre ricordarlo, erano comunisti), il valore di testimonianza e di prosecuzione della memoria insito in questo lavoro, pensato proprio in occasione del sessantenario della liberazione della città, risulta molto importante. Anche la drammaturgia, che in vista di una circuitazione in sala andrà sicuramente limata ed asciugata in alcuni passaggi di raccordo, riesce ad essere diretta ma non semplicistica, pur affrontando una materia ideologicamente rischiosa.

Riusciranno le nuove generazioni a imparare dall'esperienza dei loro predecessori? Riusciremo, tutti, a non dimenticare? A differenza della Fenice, Ray Bradbury sosteneva che l'uomo, prima o poi, grazie alla memoria, smetterà di innalzare roghi e immolarcisi sopra. Se questa utopia mai si realizzerà, sarà, in piccola parte, anche merito del teatro di Lady Godiva.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -