Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Analisi per accenni di un fatto rilevante  
Alcune note parziali su Refettorio, nuova creazione del gruppo Habillé d’eau.      
di Gian Maria Tosatti      

Il pavimento è quello di un macello, delle sale lustrate fino alla consunsione delle superfici nei vecchi obitori, abbandonati, delle stanze che abitammmo, scarnificate dalla voracità della memoria. Il volume dello spazio collassa in zone di cecità, disequilibra la vista, provoca, attacca, gli armonici della percezione.
Sulla lastra di cemento lucido appoggiano i piedi gelidi figure di donne come segni, scalfitture dello spazio. Cenni dinamici nella statica dell’immagine.
La luce non disegna, ma costituisce la “Fisica” dello spazio. Regge la sua realtà, dà corpo all’ipotesi della visione, ne svela la struttura atomica che nega l’artefatto. Le presenze delle danzatrici, le loro relazioni pesano sull’elemento passivo della luce stabilendo un equilibrio di gravità altrimenti impossibile.

Così si presenta Refettorio, ultima creazione compiuta della compagnia Habillé d’eau. La progressione drammaturgica si esprime per cesure alla continuità dello spazio. Apparizioni per sintesi, immagini che si restringono chimicamente nella testa di un ipotetico “egli” che le richiama. Restano per lampi sconnessi e taglienti, che obbligano lo spettatore a corstuire un prima e un dopo, una circostanza imprevista. Quattro donne che sembrano precipitare dalle loro caviglie nello sforzo di stare in piedi, a parte tutto.

Di Refettorio, a prescindere da quello che racconta o che vuole raccontare, da ciò che evoca e vuole evocare, il cui senso è riconducibile solo alla relazione intima con lo spettatore, interessa in questa sede rilevare alcune linee tecniche di estremo interesse nel panorama artistico attuale. E si dirà in primo luogo che quest’opera si colloca in un territorio che rifiuta di essere categorizzato in etichette dalla taglia finita, come la parola “danza” o “teatro”. E converrebbe parlare di Refettorio come di Arte, così come l’opera di Giacometti (che tanto pare ispirare la logica spaziale di riferimento di questo spettacolo) non è riconducibule solo all’arte plastica o figurativa.

Per accennare a questa creazione di Habillé d’eau, si dirà che esistono due categorie di arte. Quella che si esaurisce nella realizzazione di una creazione organica e definita nello spazio e nel tempo. E quella che tende al limite. Di qui, già il fatto che “tenda”, dimostra l’impossibilità alla compiutezza. Refettorio è un lavoro che appartiene a questa seconda categoria. E’ un’opera incompiuta fino al paradosso. Fino ad obbligare lo spettatore a rinnegare i punti d’appoggio che la reggono, i passaggi di mestiere che la coreografa costruisce per stabilizzare il rapporto di attenzione tra attuanti e testimoni. Ossessivamente allora si cerca di scavare nel solco del gesto che non arriva a trasformare, che sbatte contro il suo limite e tramortisce la spinta dello spettatore.

Refettorio è un’opera visiva. E in ciò stabilisce una linea di continuità nel percorso di Silvia Rampelli.

Nella prospettiva dell’opera si rileva una sorta di naturale scissione dei codici o di mutazione del risultato rispetto al processo creativo che lo ha generato. L’opera creativa di Habillé d’eau, delle sue performer, il cui lavoro procede attraverso lo sviluppo di partiture fisiche, di azioni umane, si può intendere come la gestazione, il parto di una visione che, una volta generata, di umano non conserva nulla, e taglia completamente i legami biologici con gli elementi vivi in platea. L’immagine trasla il bios dei corpi attuanti su un altro piano. Ciò potrebbe far pensare al cinema, al video, in cui l’immagine di un corpo nega comunque rispetto allo spettatore la presenza di quel corpo. Ma quello che accade in Refettorio è assai differente e più potente. La condivisione dello stesso spazio, della stessa aria diventa un elemento terribile. La relazione tra chi guarda e chi agisce è la stessa che si stabilisce quando si fa visita ad un cadavere e si osserva un corpo umano, che davanti al suo osservatore, umano anch’egli, appartiene già ad un’altra natura, quella vegetale. Ecco. In Refettorio la sensazione, sgradevole fino alla ribellione è quella di trovarsi di fronte a quattro cadaveri. A quattro esseri umani rapiti dalla visione di cui sono artefici, e traslati in una diversa natura.

Dello spazio davanti alla platea, si ha la sensazione chiara di non poterlo, neppure volendo, invedere, come se ci fosse un muro invisibile, un crepaccio invalicabile. Così, indipendentemente dai limiti del lavoro, e potendo, volendo o dovendo, riflettere su ciò che si vede come tappa di un percorso artistico Refettorio lo si può considerare come un passo avanti assai significativo anche rispetto al bellissimo Attis (vedi critica in archivio) che lo ha preceduto, dimostrando la maturità di un’artista nell’evitare le soluzioni note per procedere in una direzione rischiosa, che non permette ozi intellettuali e mira dritto verso un’obiettivo al di là del proprio orizzonte.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -