Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Liquidazione romana  
Enzimi si è chiuso all'insegna delle conferme, al positivo e al negativo.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - Annata sottotono questa per un Enzimi in grande spolvero. Spazi performativi importanti e una collocazione già ben collaudata non sono bastati a tenere alta la bandiera dello spettacolo dal vivo.

La prima scommessa perduta è stata quella del pubblico. In una città come Roma, in un mese come settembre, ad ingresso gratuito ci si sarebbe aspettato di più che vedere le solite facce. Una fetta esigua di presenze fedeli a tutto il festival, ma mai superiori alla capienza (non oceanica) dei teatri. Una fetta esigua di fedeli che, non avendo pagato, si non esita ad abbandonare progressivamente le sale già dai primi minuti di spettacolo a spicciolata continua e ininterrotta. Senza espressioni sconvolte di disapprovazione, ma solo col mezzo sorriso di chi si è stancato un po' troppo e preferisce farsi un giretto.

Non gli si può dar torto in fondo, alcuni lavori presentati non hanno stimolato la coscienza critica (negativa che fosse) più di quanto non abbiano fatto col sonno o con la pura noia.

E' così per Paolo Mazzarelli e il suo Giulio Cesare che, spiace dirlo, è una recita scolastica e niente di più. Passi la lezioncina sul senso del testo (non ci voleva Mazzarelli per scovare le analogie e le assonanze tra le domande della Roma shakespeariana e la "Roma" attuale). Passi il subcomandante Marcos, preso un po' per i capelli in un'operazione drammaturgica piuttosto elementare nel sostituire qualche battuta dentro o fuori un monologo eccellente. Ma quello che non può passare è la gamma ridotta all'essenziale dei cliché che fanno bella mostra sulla scena. Un totale di dieci gesti per tutte le emozioni. E ci pare un po' poco, o un po' troppo per un teatro di professionisti. Sull'uso dello spazio, o meglio del proscenio, perché non si è praticamente andati oltre, si preferirà glissare. E dai birignao degli attori ci protegga San Genesio.

Ma chi scrive non vuole neppure star qui a smontare uno per uno gli spettacoli visti. E da spettatore, solo da spettatore assiduo, e a titolo puramente personale, si limita ad accennare, sempre nella categoria dei fiaschi al Per Ecuba di Roberto Latini e all'impronunciabile performance dei Sistemi dinamici altamente instabili.

Il primo porta sulla scena una quasi irritante azione masturbatoria su un confuso canovaccio amletico. Mescolando le battute in un calderone di emozioni esasperate e di sospiri un po' troppo manierati si perde il senso del testo. Resta solo lui, l'attore-autore, ad "atteggiarsi" fino al paradosso, fino a implausibili monologhi demenzialmente autoreferenziali. E il resto, in un non meglio contestualizzato giardinetto giapponese, è appunto silenzio. O, più propriamente, come diceva il buon Califfo... "è noia...no, non ho detto gioia, ma noia, noia, noia".

Per Alessandra Sini e i Sistemi dinamici altamente instabili il discorso è diverso. Ennesima perfomance sbrindellata la loro. Un po' di video. Un po' di ballerine arrampicate, un po' di musica elettronica. Ma non è detto che mettendo il branzino, le patate e la salsa, tutto insieme, nel forno, ne esca un piatto raffinato (mi si pedoni la metafora). Insomma non si capisce cosa voglia fare la Sini con questi ibridi senza né capo né coda, ma si capisce molto bene che non sa farlo. Anche questo spiace dirlo, ma una buona volta si parli senza ipocrite parafrasi. Tutto per dire che il tempo passa e le cattive prove assumono progressivamente il valore di cattive conferme. E non ci sono Aree 06 che tengano.

Ma dopo la croce è costume che si passi alla delizia. O a quello che più le si avvicina. Convincono le due coproduzioni con MK e Habilllé d'eau, anche sé non si capisce perché volerne mostrare a tutti i costi ora il livello di arditissimi work in progress esponendone quasi spietatamente le debolezze. E la lunga tessitura di Michele Di Stefano, espansa fino all'ultimo limite, in attesa di cotrarsi elettricamente in un corpo dinamico ad alta tensione, contrasta con i lampi di Silvia Rampelli, le sue figure femminili come immagini da un sogno discontinuo o da una memoria di cui non s'è recuperato che il profumo. Ancora una parola su Meditazioni - infanzia, per dire come in esso si sia notata la possibilità di una scrittura basata sui tempi del dimenticare, dello scolorire progressivo delle immagini nella (s)memoria immediata dello spettatore e del formare attraverso tale dinamica drammaturgia una sequenza di sollecitazioni percettive come principio sperimentale su cui riflettere praticamente nello sviluppo del lavoro.

Di grande impatto anche la Medea firmata Abbondanza-Bertoni, un'opera visivamente poderosa, con profondi riferimenti all'iconografia antica. Unica perplessità per la drammaturgia che si vuole euripidea in maniera quasi (quasi?) ortodossa. Ultima citazione per La bellezza di Davide Iodice, che l'autore di questo pezzo non è riuscito a vedere per intero a causa di certe leggerezze dell'organizzazione (Enzimi) nel gestire il flusso degli spettatori. Il lavoro di Libera mente è parso tornare su una via già battuta, cercando di trarne una sintesi per leggerezza. Passaggi di straziante allegria in una cornice semplice, ma ben costruita, in uno spettacolo su cui mi piacerà tornare se si avrà ancora l'occasione di incontrarlo.

Così si chiude il sipario su Enzimi 2004, liquidato in questo articolo un po' causticamente. Ma non si può far altrimenti se si vogliono citare tanti spettacoli. E se spiace per la forma, si conferma la sincerità della sostanza. Confidando nell'intelligenza del lettore.


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -