Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Il valore del tempo  
Presentata, assieme ad una retrospettiva, la struttura integrale dell'Inferno dantesco da parte del Teatro del Lemming. Rovigo, Spazio Lemming. Dal 17 al 18 settembre.      
di Gian Maria Tosatti      

ROVIGO - Si scende. Penso che questo è "potenzialmente" il più itinerante degli spettacoli del Lemming. Che sto stretto in questa visione frontale. La linea pura del lavoro soffre la presenza del Teatro, della sua spazialità prepotente che si impone e in fondo non ci permette di trasformare a pieno la visione in esperienza. Rispetto agli studi della scorsa estate si avverte una crescita rilevante del lavoro. Specialmente nella cognizione delle immagini che passano da una prospettiva bidimensionale e seriale ad una metamorfica sequenza "a tutto tondo" che inizia ad obbedire alla logica organica dello sguardo. Eppure è come se mi mancasse la strada. La strada da percorrere, i riflessi di luce che si disperdono fuori dal tirannico controllo del perimetro teatrale. Lo stupore del trovare e non dell'essere trovato. E qui noto un conflitto ontologico tra "l'immagine predatrice", riconosciuta come il volto (o l'occhio) del Satana odierno (concetto esplicitamente affrontato nelle Malebolge), e la scelta di una visione frontale da parte della compagnia che a sua volta rimette lo spettatore nella condizione di preda. Si attraversano i primi cerchi che nella riscrittura sviluppano una coerenza pregevole rispetto al testo di partenza. Si intessono nella trama dantesca parole di poeti contemporanei, icone del presente, talvolta didascaliche è vero, ma sempre in un equilibrio stabile rispetto alla "navicella" del Pellegrino. Tuttavia continuo ad avvertire un disagio. La mancanza di strada. Sento l'assalto di questo teatro. Sento la sua passione nel cercarmi, nel cercare con me un contatto necessario. Ma tutto questo non è condotto alle estreme conseguenze. Massimo Munaro, autore delle musiche oltre che del progetto registico, non mi libera. Mi tiene incatenato, mi nega la fuga, l'allerta, mi intrappola nel suo gioco crudele. Che per questo resta gioco. Non mi permette di farne "esperienza". Di donare a questo viaggio il mio tempo. O almeno di averne l'impressione.

Si scende ancora. Alle Malebolge. E qui si sviluppa la prima frattura. Lo spazio cambia. Il pubblico è ammesso su quello che comunque è il "palcoscenico". Un quadrato di letti accoglie gli spettatori circondati da televisioni e schermi da seduta ipnopedica. Non cambia di molto il rapporto pubblico-spettatore, ma si avverte di essere entrati in una "seconda parte". Meno risolta della prima, spesso come lasciata sospesa. Fino alla seconda frattura. La discesa tra i fraudolenti. Qui lo spazio rimane immutato, ma la trama del lavoro subisce un'ulteriore rarefazione. Sono i passi più recenti. Ed è forse giusto che mostrino la loro freschezza in un lavoro che dopo due anni ancora scava per trovare la propria strada, la vena da seguire.

Così termina questo affondo nel centro della Terra, tra le spire di un Inferno attraversato da volti attuali. C'è il tempo di alcuni appunti di riflessione. E di chiarirsi quale sia il valore di ciò che si è visto. Penso che questo compimento sia un punto d'inizio. Si usa la parola "compimento" per dire che i passi della compagnia hanno battuto la terra sbranata di tutti i cerchi infernali. Li hanno percorsi, visitati, immaginati. Visti e forse conosciuti. Sono passati. Dal primo al trentaquattresimo canto. Così si è composta l'unità dell'esperienza, delimitato il campo di ricerca, ricostituita la circolatirà dell'indagine teatrale che permette una volta arrivati di poter tornare e tornare ancora. Per essere davvero "al presente di sé nel proprio atto performativo".

Dopo due anni ci si trova dunque di fronte ad un lavoro finito, ma non compiuto. Ad una struttura che ancora chiede gli affondi decisivi. Che pretende venga osato e osato di più (anche e soprattutto nelle possibili e determinanti relazioni tra spettatore e spettatore). Che si faccia violenza sul corpo del lavoro. E' questo dunque il valore che uno spettatore di professione (e perciò un pessimo spettatore) ne reperisce. Quello, da parte di Massimo Munaro, di aver usato il tempo nel suo verso giusto. Nel verso di chi cerca. Di chi evita le soluzioni facili e acquisite, e caparbiamente vuol condurre fino in fondo una ricerca di trasmissione opera-pubblico ancora poco chiara. Ecco, il valore sta allora nel non aver rifiutato di stare nell'incerto, nel rischio, per un tempo umano, un tempo reale. In questi giorni oltre all'Inferno verrà presentata a Rovigo la Tetralogia sul mito, esperienza che ha segnato la scena sensoriale italiana e che invitiamo a non perdere.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -