Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2024 NUMERO 37
Dal 13/05/2024
al 20/05/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Immagini dal Paradiso  
Forte impatto visivo e fragilità drammaturgica equilibrano questa tappa importante nel percorso di Corsetti.      
di Gian Maria Tosatti      

Immagini di grande suggestione, un tema complesso che torna ciclicamente nei lavori di Giorgio Barberio Corsetti, una ricerca che inizia a mostrare i propri frutti migliori, ma che chiede ancora tempo ribadendo che ogni percorso artistico che si rispetti necessita di tempi lunghi tra conquite e fasi di stallo. Un rischio su tutti, quello di non cedere ad un gusto "francesistico" compromettendo una poetica attualmente in bilico tra originalità e rigenerazione di cellule del passato individuale del regista.

Parlare di Paradiso, se lo si vuol far davvero, è dire in primo luogo di certe ombre che ne ridimensionano la forza espressiva. La prima riguarda il ruolo dello spettatore diviso fra tre livelli di partecipazione che dialogano a fatica tra loro. L'apertura è, infatti, sulle note di Milton, un grande sollevamento popolare cui il pubblico, mischiato agli attori, si trova ad essere fisicamente protagonista. Dopo di che l'azione passa in un altro spazio con pianta centrale e il pubblico seduto in terra viene escluso dall'azione. Finché una seconda migrazione porta tutti gli spettatori a sedere su una "abituale" gradinata con sedie, per assistere al grosso del lavoro (più di un'ora e mezza contro i venti minuti delle due azioni precedenti). Se fosse un peccato sarebbe un peccato veniale, ma mettere seduti gli spettatori dopo averli coinvolti e iscritti nel "quadro" del lavoro è pur sempre un peccato. Su un piano simile e coincidente stanno anche alcune perplessità nei riguardi della struttura drammaturgica. Tutto lo spettacolo si centra, infatti, su una sequenza di episodi che non sembra abbiano tra loro alcuna organica relazione se non quella di iscriversi nella cornice tematica che vuole indagare, o forse, più appropriatamente, rappresentare, la lotta del male contro il bene. Brani drammatizzati dal Paradiso Perduto di Milton, dalle storie bibliche di Sodoma e Gomorra, della creazione dell'uomo e sua cacciata, fino alla morte di Walter Benjamin, si susseguono e, talvolta, si intrecciano in un percorso dagli obiettivi vaghi.

Anche i toni si alternano, dal comico all'evocativo, con momenti brillanti e intensi (la storia di Tobia ad esempio o la nascita di Adamo) che fanno da controcanto ad alcune soluzioni meno felici (il dialogo tra le figlie di Lot, le scene tra Adamo ed Eva, lo scontro biblico tra gli angeli ribelli e gli arcangeli fedeli a Dio, ma soprattutto il finale eccessivamente "declamatorio").

Insomma, si cambia spazio, ruolo, tono, storia, senza che però ciò sia determinato da passaggi di necessità più profondi che non l'indicazione delle maschere a seguire gli attori da uno spazio all'altro o le sole assonanze di certe storie, tenute assime più volte da inserti di narrazione un po' forzati.

Sembra così che la malattia infantile (l'abbiamo vista a due giorni dal debutto) di quest'opera sia quella di non portare fino in fondo i suoi spunti, di non cercare una forma unica nella continuità dello spazio e del tempo, preferendo accontentarsi di mostrarsi quale collage di elementi che da lontano indichino enigmaticamente una ulteriore figura dai contorni indefiniti. Dico da lontano, perché da vicino le storielle (mi si perdoni il diminutivo, ma tali si presentano in questa lettura) mostrano talvolta un approccio goffamente didascalico.

All'uscita s'è fatto il pieno di spettacolarità, ma per chi resta un po' a pensare, a ricollocare i pezzi di puzzle restati in tasca, c'è il rischio di restare un po' delusi dal fatto che questo Paradiso non ha ferito, non ha rivelato niente di scomodo, non ha buttato all'aria le lenzuola di un tabù, non ha portato altrove. Che questo Paradiso, in fondo, sia stato "solo" uno spettacolo.

Tuttavia non si esce con la sensazione di aver assistito ad un cattivo lavoro, anzi. Dal punto di vista della teatralità Corsetti fa centro nel migliore dei modi, cioè dimostrando che la sua ricerca poetica sulle tecniche circensi inizia ad usare concretamente le evoluzioni acrobatiche come elementi drammaturgici precisi e ad orchestrare un complesso insieme di elementi semiologici obbedienti ognuno ad una diversa tradizione. E in questo senso val la pena di notare l'eccellente dialogo tra la scena e il suo midollo sonoro creato da Gianfranco Tedeschi.

Per chi scrive, seduto in platea da semplice spettatore, resta un po' di amaro in bocca per l'episodio di Walter Benjamin, contestualizzato un po' alla buona (come se bastasse il tono solenne per creare un fuoco di riflessione) e per la "bidimensionalità" di certe immmagini potenti, ma prive di quel contoluce epifanico che le avrebbe fatte scioccanti.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -