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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Ricominciare da qui
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Maestri di teatro #1: Lezione di anatomia.
Vassiliev getta un ponte verso la tradizione originaria del rito teatrale con una Medea perfetta. |
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di Gian Maria Tosatti
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MILANO - Come parlare di Medea-Material di Heiner Muller diretto da Anatoly Vassiliev? Se lo si volesse fare sarebbe difficile districarsi in un ginepraio di superlativi che per certi versi toglierebbero lucidità ad un'analisi che pure sarebbe, a prescindere, inadeguata.
Ci sono opere d'Arte (i lettori sanno quanto raro sia in queste pagine l'uso di tale sostantivo), infatti, che non possono e non devono essere smembrate, sezionate. Opere cui non si può fare l'autopsia per il semplice motivo che non sono morte. Non lo sono una volta finite. L'incontro con esse è stata una trasmissione reale. Hanno passato ad ogni singolo spettatore qualcosa che in maniera inquietante continua a respirare, a battere, a tremare dentro.
Così di fronte a queste opere anche noi, che abbiamo fatto dell'approccio analitico una regola rigorosa per rifiutare la faciloneria cronachistica che ammala la critica italiana, dobbiamo rinunciare ad una ricognizione scientifica dentro questa Medea.
Solo chi scrive può notare come la sua struttura sia una fittissima rete di segni che si legano con il retaggio archetipo che affonda le radici nel profondo di ogni spettatore. Una tessitura strettissima eppure leggerissima, trasparente, che riporta al teatro orientale nel momento in cui la sua tecnica diventa "super-tecnica", i suoi codici "iper-codici", in cui la rigorosa partitura di un linguaggio o sub-linguaggio diventa la porta verso una ricerca ulteriore. Viene alla mente Artaud, il suo malinteso balinese. E sembra che qui, su questa scena essenziale, su questa sedia-patibolo, la discordanza tra la visione "magica" artaudiana del teatro orientale e la sua realtà tecnica e comunicativa, trovino un punto di sintesi in cui non si possa smentire l'uno con l'altro e viceversa.
Quel punto di sintesi è la lingua. Scrive Daumal: "Un linguaggio chiaro presuppone tre condizioni: un parlatore che sappia quello che vuol dire, un ascoltatore allo stato di veglia, e una lingua che sia loro comune".
La lingua scelta da Vassiliev è un verbo antico, un verbo dimenticato, ma presente. Sconosciuto, eppure sensibilissimo. Il verbo con cui si suonano quelle corde che vibrano ad ogni armonico dell'esistente. Vassiliev sceglie la lingua dell'origine, quella con cui si scrive il libro delle generazioni. Il corpo di una "attrice" (ci pare assai fuori luogo l'uso realistico di questo termine) diventa quel verbo.
Quello a cui gli spettatori assistono è un rito. Davanti ai loro occhi impossibile riconoscere una donna, impossibile riconoscere una "attrice", appunto. Davanti ai loro occhi un'essere umano che si annulla, che sparisce, trasfigura per evocare uno spettro venuto dall'ombra di venticinque secoli. Seduta su una sedia-città sta una donna leone. Il cui silenzio è insostenibile. Ci si piega, piuttosto, al martirio delle sue parole, lanciate come staffilate laceranti da una nudità assoluta. Ripercorre le orme della tragedia nella riscrittura che ne ha fatto Muller, le porta alle estreme conseguenze della crudeltà. Quasi immobile su una pedana che pare sempre sul punto di incendiarsi Valérie Dreville arde e terrore suscita il suo sacrificio. In sala il silenzio si fa vertigine. Si trattiene il respiro per ogni riflesso sul volto, per ogni crepaccio della parola.
Non importa allora "capire" quei segni, decodificare la trama. Il rogo è in fiamme e dalle fiamme si leva un canto che basta, che rende inutile ogni volontà di afferrare. Solo si può lasciarsi attraversare.
Parlare di questo spettacolo dunque significa parlare di una lezione imprescindibile del teatro del Novecento, o meglio di qualcosa che ci tende un ponte puro, attraverso il Novecento, verso la vera tradizione. Significa riconoscere il disorientamento di fronte ad una donna portata agli ottomila metri del teatro, in un luogo che molti artisti o spettatori di professione non hanno neppure idea che possa esistere.
Parlare di questo spettacolo significa dire di una Medea che è radicalmente, carnalmente, appartenuta, a chi vi ha assistito.
Così, a conclusione, attraversa i pensieri di chi scrive una riflessione clandestina. Penso che quest'anno in Italia alcuni spettacoli hanno girato quasi tutti i teatri nazionali di un certo rilievo. E che Medea-Material in due anni ha avuto soltanto due occasioni per incontrare il nostro pubblico: maggio 2002 a FabbricaEuropa di Firenze e aprile 2004 al Crt di Milano (dove lo abbiamo rivisto). Questo, senza aggiungere altro, la dice lunga su molte cose...
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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