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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Ulteriori schizzi plausibili sull'Endogonidia |
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A Cesena replica Bn.#05 l'episodio norvegese del ciclo tragico della Societas Raffaello Sanzio. |
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Bergen, 22-25 maggio 2003
di Gian Maria Tosatti
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Tempo: in ritardo.
Frammento 0: prologo
Impossibile uscire dalla confusione. Come una specie di dejavu. Vedo Bn.#05 con quasi un anno di ritardo. Un anno in cui sono stati sviluppati altri 3 episodi della Tragedia Endogonidia. E più precisamente episodi che portano questo ciclo
sperimentale lungo una doppia svolta: la traduzione dell'impianto concettuale che appartiene al prologo (che si chiude proprio nell'episodio di Bergen) in un corpo centrale di connessione con la prospettiva storica del Novecento, e il passaggio agli episodi raccontati all'indicativo presente (finora solo la tappa di Strasburgo).
A Bergen, (che però è Cesena, per chi come me ha recuperato l'episodio in marzo). Si ha la concrezione in figura del protagonista della Tragedia Endogonidia, cioè il viaggiatore. L'individuo. Specularmente riprodotto dalla platea nella scena. La sequenza filmica è quella che passa da una panoramica aperta sullo spazio alla figura del personaggio protagonista visto di spalle di fronte ai suoi scenari, fino alla soggettiva del suo sguardo. Con questa progressione di zoom Castellucci ci prepara agli eventi successivi che hanno proprio come "azione" principale quella di essere guardati dal pubblico (più che quella di raccontarsi).
Frammento 1: il quadro d'insieme
In principio era il verbo. Verbo molecolare. Sequenza di amminoacidi la cui dicitura è formula naturale, alfabeto primario (se non lo si vuole considerare comunque filtrato da simbologie convenzionali). Alfabeto che esprime tutto il mistero dell'armonia originaria in progressiva mutazione. Le figure eteree delle due "ancelle del poeta", ricomparse da Avignone (buona parte dei personaggi di questo episodio sono recuperati da tappe precedenti), proseguono la declinazione di una catena di note strutturali che non ha inizio ne fine. Il diaframma lattiginoso che le copre si scioglie in fine, come conseguenza di una preghiera mostrandone le figure. Spariscono. Al centro della scena bianca appare una donna vecchia. Seduta su un letto. Il poeta, il capro, bussa alla sua porta trasformatosi in ariete. Violentemente. La stabilità del suo diaframma è ad un punto critico. La pressione si scioglie in un rivolo di sangue che le cola giù dal collo lungo la schiena. Il suo corpo si accascia. Alcuni sacerdoti lo coprono con la pelle dell'animale, matrice dell'origine. Principio attivo metamorfico nella consecutio delle generazioni. (Si perdoni la scrittura da giovane critico pedante, ma non mi è venuto di meglio...)
Frammento 2: le spalle del protagonista
La camera bianca si riapre tale e quale. I sacerdoti continuano i loro riti elementari. La pelle del capro viene sollevata. Dalle ceneri della vecchia una bambina. Lo spettatore, solo, ne riconosce la propria immagine speculare. I sacerdoti la curano, la coccolano, la educano. La bambina viene posta di fronte ad uno schermo di proiezione e sorvegliata. Davanti a lei una sequenza di immagini simmetriche psico-stimolanti simili a macchie di Rorschach. Quando si alza l'avvicina una figura di confine, una delle presenze ricorrenti dell'Endogonidia. L'uomo in rosso, alto funzionario di una non precisata trascendenza.
Precisazione: al Frammento 2
La camera bianca è la struttura del reale. E' l'immagine decriptata della realtà che noi non possiamo vedere coi nostri occhi. Per questo nel quadro c'è ancora la bambina, che noi vediamo dall'esterno. Che ci viene mostrata da qualcun altro, come di rimando, estemporaneamente. Attraverso uno strumento documentario dotato di una pellicola con un grado atipico di impressività, in grado di cogliere in immagini concrete i prolungamenti delle forze culturali che agiscono sull'uomo contemporaneo. (In sintesi il Teatro)
Frammento 3: La visione in soggettiva
Si apre davanti alla bambiana una camera bianca iscritta nella stanza principale, iscritta "dentro la struttura". Una gabbia, una cella di laboratorio, un campo di concentramento occulto, un habitat per allevamento. E' una stanza dorata. L'uomo in rosso consegna alla bambina un paio di scarpette dello stesso colore. Un vincolo che incatena a quella realtà. Da questo momento la bambina scompare (o meglio viene superata dalla presenza dello spettatore) e lo spettatore è solo davanti alla camera. L'uomo in rosso entra e si trasforma in una donna dalle forme vagamente somiglianti alle figure vaso-materne del paleolitico, poi, togliendosi quella pelle ci mostra la nascita di un uomo da quella figura. Ci pare l'alfa della storia umana. Ma messa in quella scatola dorata, in quella camera dal perimetro finito, segnato, obbediente ad un'ordine architettonico proto-umano, questa inattaccabile pietra miliare è assunta a segno estremo della provocazione iconoclasta.
Precisazione: al Frammento 3
La camera dorata: un (il?) mondo forzatamente privo di prospettiva, l'immagine abbacinante che il nostro sguardo formato può contemplare in soggettiva solitaria. Scompare la bambina. L'immagine non è più mediata. Quello che vediamo accade in tempo reale davanti ai nostri occhi in una prospettiva familiare. Al centro della scena una figura metamorfica che provoca la nostra curiosità senza però essere capita, ma si connette con le nostre reazioni sensibili, pilota attraverso la sua forma i nostri legami con una figuratività del profondo. Immediatamente legata alla nostra formazione occulta (come nella scena del video), a essa connessa per assonanza o ancora attraverso di essa rimandata ad un sistema di archetipi preesistenti. Quegli archetipi che per il solo fatto di essere nominati (visivamente) in quella scatola sono suggeriti allo spettatore come corrotti e passano dall'essere forma pura a "terza" immagine platonica, in un luogo in cui il demiurgo trascende la volontà dell'uomo al pari di Dio o, appunto, della società (Wright Mills).
Frammento 4: conclusione
In questo episodio in tre movimenti si distillano dunque i materiali delle tappe precedenti dell'Endogonidia in una canalizzazione strutturale al proseguimento del ciclo attraverso i suoi successivi segmenti. Dopo di questo Parigi (vedi critica di P.#06) e Roma ( vedi critica di R.#07), in cui lo sguadro dello spettatore, ora autonomo, si confronta con le immagini registrate dalla propria memoria generazionale. E Strasburgo (vedi critica di S.#08), in cui lo sguardo dello spettatore è còlto al presente delle proprie domande in corso di formulazione e di contraddizione.
Bn.#05 è dunque un episodio di compimento e come tale di passaggio.
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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