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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Ma in fondo onore al merito |
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L'assenza del tragico non permette a Madre e assassina, ultimo lavoro del Teatrino Clandestino, di andare oltre la propria, conquistata eccellenza tecnica. |
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di Gian Maria Tosatti
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Madre e assassina è un lavoro che ha impegnato per un intero anno il Teatrino Clandestino sviluppandosi a tappe, tra studi diversi fra loro e inseriti in un piano di lavoro organico e complesso.
Il tema attorno a cui si è ricercato è già nel titolo, quello dell'interrogarsi sul fenomeno dell'infanticidio. Farlo attraverso il caso pretestuale di Maddalena Sacer, una donna di trentasei anni che in quel periodo oscuro che furono gli anni '50 (la nostra perestrojka), tra l'impatto invasivo di una nuova moralità targata Ford, e la nascita delle prime opposizioni anticapitalistiche uccide i suoi due figli. La ragione? Non c'è, o meglio l'assenza di ragione è il punto di partenza di Pietro Babina e Fiorenza Menni.
Uno spettacolo dunque per visitare, stare dentro, quell'assenza di ragione, quell'atto incredibile nella sua archetipica oscenità.
E così ripercorriamo una sorta di frammentata ricostruzione della vita della Sacer (la cui traduzione in latino ha entrambi i significati di "sacro", quello angelico e quello demoniaco), tra parto, famiglia, dialoghi inquietanti fino al tracollo, all'omicidio dei suoi bambini, per terminare con un'intervista inquietante fatta all'assassina.
Ma in fondo non è questo che pare interessarci davvero, perché, a parte la narrazione lenta e per certi versi un po' noiosa per il suo volerla dir tutta, anche oltre il necessario, lo spettacolo non pare riuscire a centrare la sua problematica drammaturgica. L'indagine sulla madre assassina non va oltre l'esibizione di un fatto metonimico che si richiama solo per assonanza forzata a Medea. I conti non tornano forse per un errore di impostazione che ci pare di riscontrare anche nel programma di sala in cui si fa uso a sproposito del termine "tragico", che, in quanto tale, di per conto suo non può liberarsi dal "fatto in sé" (ricostruito in scena) se questo non è ricreato da una precisa liturgia performativa che del tragico affronti il linguaggio e l'impostazione pre-dialogica e pre-teatrale. (La strutturazione "a reportage" di Madre e assassina, di derivazione televisiva e neo-mediatica, ci è parsa al contrario post-dialogica e post-teatrale. Più prossima "geneticamente" alla forma drammatica che a quella tragica).
Ma a parte alcune lungaggini il corpo drammatico si sviluppa mantenendo una certa tensione ed arrivando a momenti di alto coinvolgimento (come l'ascolto della registrazionea audio dell'omicidio). Tutto è sostenuto da quella che è poi la reale linea trainante dello spettacolo: la ricerca sull'uso dell'immagine elettronica e le sue relazioni con la mirabile dialettica tra suono elettronico e la partitura di voce e rumori eseguita dentro la scena dagli attori. Una ricerca che il Teatrino ha cominciato anni addietro e che oggi pare giunta ad un livello di impressionante qualità, iniziando a proporre materiale concreto per approfondite riflessioni tecnico-teoriche a riguardo. Una ricerca quasi in grado di autogiustificarsi (Ne avesse avuto il pieno coraggio...!). Su questo piano dunque si potrebbe iniziare un altro discorso lambendo il tema della presenza dell'attore o della temporalità elementale della performance in relazione al suo processo creativo, in sintesi su quelli che vengono definiti i nuovi linguaggi della scena. Discorso su cui probabilmente il Clandestino potrebbe dire e forse aggiungere (dal punto di vista del concreto risultato formale certamente) qualcosa di interessante.
Tuttavia non essendo questa la sede per tale riflessione e dovendo annotare impressioni su Madre e assassina come evento spettacolare, dopo tutto, sulla base di quanto è già scritto non può uscire di di questo spettacolo un ritratto che non lo descriva come un ottimo, ma pur sempre e solo, esercizio teatrale.
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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