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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Aprire ai tentativi |
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Urban Frame porta a Bologna i lavori in corso, le performances che non si vogliono o non si possono definitive. |
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di Gian Maria Tosatti
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BOLOGNA - In primo piano, anzi, in unico piano i processi di ricerca. Niente in scena di quello che convenzionalmente si intende per spettacolo. Niente scena. Così Urban Frame, l'occasione performativa invernale progettata dall'associazione Danza Urbana. Quattro compagnie che misurano l'attrito della loro tensione sulle mura di limiti di volta in volta inevitabilmente abbattuti. In spazi differenti, quotidiani, preesistenti, si sono generate performance in cui lo spettatore si sentisse (e si è sentito) quasi estraneo, un passante, un "capitato". Giusto il tempo allora di interrogarsi sul proprio ruolo, sulla propria possibile reazione a qualcosa a cui non si è preparati.
A far lo spettacolo sono stati appunto i passanti a piazza Re Enzo (praticamente Piazza Maggiore) di Bologna, dove MK, all'interno dell'inquietante spazio espositivo voluto dal comune, realizzava la sua Fortezza, un lavoro che recupera buona parte degli spunti del progetto Bird Watching (di cui abbiamo parlato spesso quest'estate). Quattro danzatori in uno spazio al limite del visibile esponevano la propria presenza ad uno sguardo incerto, discontinuo, disattento, nervoso, commentato, senza la certezza di essere visti. E i rumori non sono mancati, le reazioni infastidite, divertite, deluse del pubblico, in un lavoro che appunto mette lo spettatore in azione e reazione come componente tecnica del lavoro.
Ha fatto la sua comparsa inoltre una Crescita del progetto Tragedia Endogonidia della Societas Raffaello Sanzio. Una chiesa sconsacrata è stata riempita in ogni ordine di posti da un'assemblea di divertiti conigli di pezza, attenti tra i banchi, affacciati dai balconi in una congelata euforia da teatro di rivista alla cui scanzonata e irriverente partecipazione fa da contrappunto la scena tenuta sull'altare in cui si proietta la terrificante presenza di un potere oscuro, mostrato, a differenza degli episodi della Tragedia, nel proprio ambiente, nella propria sala d'allenamento. Una delle divinità che rappresentano i fuochi del lavoro di Castellucci siede dentro una nicchia dell'abside per poi alzare la sua forma di infante zoppo e guidare col proprio bastone l'ostensione delle insegne delle proprie squadre di funzionari "d'ordine pubblico".
Un lavoro assolutamente imperdibile, breve istallazione di dieci minuti che pure rielabora figure dagli episodi di Parigi e Bruxelles della tragedia in un impianto digressivo sovrapposto rispetto al perimetro narrativo della Tragedia, restituendo uno scorcio illuminante, una prospettiva spiata chiarificante, un segreto svelato conducendo gli spettatori all'interno di un rito segreto e privato in mezzo ai suoi partecipanti e mischiato con essi.
In fine, tra le performance cui abbiamo assistito ricordiamo Bleu Provvisoire dello svizzero Yan Marrusich. Una performance al limite della body-art, in cui il coreografo compie una danza interna, a dispetto della propria immobilità esteriore, visibile attraverso il progressivo rilascio di un liquido blu da parte del proprio organismo.
Negli altri giorni di Urban Frame sono stati ospiti ancora Yan Marrusich e Virgilio Sieni con i propri soli sulle Variazioni Goldberg di Bach. |
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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