Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024
al 25/11/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Dov'è finita la strada?  
Il tormento degli interrogativi ne Il cortile magistrale lavoro della Compagnia Scimone Sframeli.      
di Gian Maria Tosatti      

"Nessun deserto sarà mai più deserto di una casa, di una piazza, di una strada dove si vive millenovecentosettanta anni dopo Cristo. Qui è la solitudine. Gomito a gomito col vicino, vestito nei tuoi stessi grandi magazzini, cliente dei tuoi stessi negozi, lettore dei tuoi stessi giornali, spettatore della tua stessa televisione, è il silenzio. Non c'è altra metafora del deserto che la vita quotidiana.
-Pier Paolo Pasolini da Appunti per un film su San Paolo, 1968/74
"Dov'è finita la strada?" E' questa la domanda che ci si pone dopo i primi minuti de Il cortile, ultima opera della Compagnia Scimone-Sframeli. "Dov'è finita la strada?" Freschi ancora di debutto, arrivano a Roma, al Teatro India, i due artisti siracusani, affiancati per l'occasione da Nicola Rignanese e diretti da Valerio Binasco, per aprire una propria retrospettiva (gli altri spettacoli saranno in scena al Teatro Due), che procede all'inverso partendo dal nuovo lavoro, fino ad arrivare al celeberrimo Nunzio.

A ben guardare pare si venga a creare una narrazione unitaria che parte da un "a posteriori" e procede a ritroso lungo le storie individuali dei protagonisti dell'ultimo quadro.

La scena d'apertura è dunque Il cortile, un purgatorio terrigno in cui si muovono ombre incredibilmente simili a quelle dei personaggi appartenenti ai lavori precedenti. In terra, semi-distrutta c'è l'insegna di quel "Bar" che è appunto luogo e titolo di una pièce di qualche anno fa. In quest'azzardo di lettura sarebbe riduttivo ipotizzare delle precise linee di relazione tra i protagonisti di questo lavoro e gli altri, ma vero è che in questo cortile, luogo scuro e braccato, confluiscono i futuri di quelle figure perversamente umane con cui Scimone, in questi dieci anni ha saputo raccontare il presente.

In questo luogo indefinito non accade nulla, ancora una volta, se non lo sforzo quotidiano dell'esistenza, della non negazione dell'esistenza. Qui tre uomini, come malati, espongono all'aria le proprie piaghe, l'infezione dell'appartenenza al genere umano e alla sua genetica sociale.

Il cortile è un quadro feroce, quasi inguardabile, fitto di affondi maledettamente osceni, sull'identità del presente.

E' tutt'altro che un'astrazione.

E' una visione dagli inquietanti riflessi iperrealisti.

In questo senso il richiamo più o meno velato ad Aspettando Godot è un piano ulteriore dell'opera, un piano che ne permette una prospettiva temporale lungo l'asse cronologico della problematica di fondo, quella del "deserto".

In questo senso le figure dei protagonisti assumono una maggiore complessità data dallo scarto generazionale dei due punti di vista. In mezzo c'è il corpo di mezzo secolo che vale per uno intero. Dopo esserci passati attraverso ritroviamo una scarpa logora, riempita da un piede in putrefazione. Un oggetto alla deriva del tempo, uno "stargate" familiare. Un dejavù che ci fa chiedere dove sia finita la strada, la strada indistinta di quella pièce beckettiana. Non c'è più una strada, un luogo in divenire, una prospettiva che concede ancora qualcosa al futuro, all'attesa di qualcuno che tarda ad arrivare, che forse, soltanto forse, "probabilmente", non verrà mai. Il cortile è un angolo di stallo. Un luogo in cui non si parla più di futuro. In cui il sogno è negato e la speranza è solo che cessi qualcosa, non che cambi. In questo orizzonte restituito da cinquant'anni di storia si sta come sbigottiti, con le vecchie fotografie tra le mani, increduli a domandarsi fin dove nostra è la responsabilità. Si rimane a farsi quelle stesse domande che dopo il Secondo Conflitto Mondiale si facevano i superstiti napoletani nelle amare pagine di Eduardo o di Malaparte. E vien da chiedersi se allora non ci sia stata una guerra in questi anni e , visto che non l'abbiamo vista, se siamo certi che sia finita. Intanto si rimane lì esposti alla radicale violenza di queste figure che strisciano sulle rovine di una scena biografica, che cita altri quadri, altri personaggi dal sapore beckettiano con cui Scimone ha ritratto in passato identikit fetenti dell'uomo contemporaneo eppure pieni di un insopprimibile, deviato, amore animale.

Lascia con una lunga inquietudine Il cortile e resta come uno scomodo compagno di viaggio a giorni di distanza. Resta una prospettiva di cui dubitare, un'immagine che si vorrebbe esagerata, e che muove il nostro impegno a negarla, a cercare il modo di negarla riportandoci nello scontro col presente per trarne le prove di innocenza. Resta come una requisitoria tormentosa, come una ferita che resiste.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -