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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Tragedia per una guerra invisibile |
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Il giardino nero di Libera mente veicola mirabilmente la scrittura di Agota Kristof. |
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di Gian Maria Tosatti
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ROMA - Nell'immaginario mistico di chi scrive la catarsi ha l'aspetto e la sostanza di un riallineamento, un riallineamento coi fuochi del reale. E' di colore bianco e fa piangere, piangere molto. Ma è qualcosa che sembra relegato ad un tempo antichissimo, un tempo mitico appunto.
Oggi la coscienza pare che stia su un piano traslato e quel riallineamento non fa piangere molto, piuttosto provoca un giramento di testa e un fastidio simile a una perdita dell'orientamento. Il riallineamento si rigenera ancora quando si dà tragedia, ma esso assume il carattere di una scissione, perché riporta i paramentri in coincidenza del piano originario, del piano in cui c'è guerra e carestia, c'è fame e miseria, ogni giorno, al di là dei nostri occhi.
Raramente accade, ma ci s'accorge che una certa sera s'è data tragedia quando sulla strada del ritorno si sente quel fastidio, si sbanda un pochino, si sente il ronzio di una mosca nera e insistente che dà il tormento con le sue immagini di manichini e abiti a lutto, coi suoi focolari familiari.
Sono questi frammenti de Il giardino nero, secondo passaggio della Trilogia della guerra che la compagnia Libera mente deriva da Agota Kristof.
Al Teatro Furio Camillo di Roma la rassegna dedicata alla scena del sud prosegue dunque con Davide Iodice autore di un'opera realisticamente aggressiva che non si perde in voli ambiziosi, ma lascia che sia la concretrezza tecnica a rendere acuminata la sua complessità.
Questo Giardino nero ha la paradossale coerenza di un funambolo, la sua funzionale eleganza essenziale. Si arrampica lentamente sulla salita del testo della Kristof, lo doma temendolo, non concedendosi ad esso con troppa generosità. Ne illumina le zone necessarie e ogni acrobazia evocativa è strettamente calcolata. Quello che ne esce è un lavoro quasi atletico, che sta al limite di un'esecuzione ginnica, in cui però non c'è la freddezza dell'esercizio, quanto il fuoco di chi non proietta il proprio anelito emotivo verso un'intenzione intellettuale, ma sta tutto lì, nel presente del suo miracolo d'attore, piccolo o insignificante che sia, ma brucia.
Sembra essere stata questa la chiave vincente di Iodice, il tempo. Essere riuscito a domare il tempo, il tempo degli attori e quello dello spettatore condotto in una rigorosa partitura ritmica che procede per stentati avvicinamenti e strappi inevitabili, per svelamenti progressivi della trama drammaturgica.
Viene a comporsi dunque un lavoro che la precisione costruisce lentamente come qualcosa di gelido e pericoloso, come la canna di un fucile, attraverso cui passa il lampo del romanzo trilogico della Kristof. E' un colpo breve e luminoso, che stende a terra la coscienza "benestante" e la ributta nel campo di battaglia in cui la guerra della città di K. continua a combattersi.
Si torna a casa frastornati allora, come si fosse presa una botta in testa. Tutto sembra estraneo, come in agguato. Si è data tragedia.
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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