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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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La vita nelle pietre. |
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Per il festival Corso Polonia, organizzato dall’Istituto Polacco di Roma, Gardzienice conquista gli spettatori con Metamorphoses. |
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di Gian Maria Tosatti
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ROMA - Un po’ in disparte, quasi inaspettata, e comunque lontana dai circuiti ufficiali, la presenza di Gardzienice ha avuto l’impatto di un meteorite sulle rovine di Roma.
Fondato nel 1977 da Wlodzimierz Staniewski, Gardzienice è uno dei gruppi storici del nuovo teatro polacco, un’officina che col suo lavoro ha profondamente segnato l’estetica e l’identità della scena europea. Cinque gli spettacoli realizzati in venticinque anni di storia e una modalità di presentarli che spazza via la consuetudine del teatro come bene di consumo. Ogni sera sono due i lavori messi in scena e introdotti dal regista. Il primo è uno spettacolo finito, l’altro è un assemblaggio di materiali provvisori per una creazione in divenire. Il pubblico, dunque, non “vede” una performance (o due), ma viene introdotto in un processo creativo.
Comunque il dato più importante è che alla compagnia basta un’ora e mezzo per mettere in chiaro la differenza che distingue il “teatro contemporaneo” dal “teatro di ricerca”.
Con quest’ultima dizione viene spesso descritto, infatti, l’intero circo del nuovo teatro, più per ragioni anagrafiche che per altro. La presentazione di Metamorphoses, accompagnata dai materiali per Elettra , ha avuto in primo luogo il merito di contribuire alla semantica della scena, dimostrando cosa sia corretto intendere per “ricerca”. Non si tratta, infatti, di mettere in scena un testo secondo una certa poetica, o seguendo una determinata idea, ma di creare possibilità di rappresentazione prima inesistenti. Il termine “Ricerca” perde dunque quella valenza aleatoria che solitamente gli viene attribuita, per diventare la denominazione di una scienza.
Negli anni passati l’attività di Gardzienice è stata caratterizzata da spedizioni nei luoghi più remoti della Terra, seguendo la spinta di un interesse antropologico che ha portato il gruppo a conoscere e studiare i canti e le forme di rappresentazione di popoli quasi sconosciuti, per trarre da questa materia viva gli elementi su cui sperimentare nuove possibilità per le arti performative. Per Metamorphoses è stato diverso. I materiali su cui basare la ricerca sono stati identificati nelle antiche forme di rappresentazione della grecia ellenica. Così il gruppo di Staniewski ha dovuto trarre la materia del proprio lavoro dalle pietre e dalle incisioni frammentarie che su di esse sono state ritrovate, cercando di ricostruire, come dei paleontologi, gli scheletri di una forma, partendo da un piccolo frammento.
Ma la ricostruzione non è che la prima parte del lavoro. Una volta ricreata la mappa dei materiali con grande precisione inizia il processo di rielaborazione artistica attraverso i secoli e le tradizioni che si sono succedute, fino a passare per i caratteri chiave della poetica del gruppo, in un processo che potrebbe essere definito “verticale”.
Va detto infatti che il modus operandi del gruppo non ha nulla a che fare con le barbose ricostruzioni filologiche dei teatri “classicheggianti” o degli enti che cercano di riproporre le forme del dramma antico agli spettatori moderni. I loro lavori sono opere assolutamente moderne, che non si risolvono tutte nel “formalismo”, ma usano la piena coscienza della forma per farne un alfabeto attraverso il quale scrivere la propria poesia contemporanea.
Il risultato si è manifestato ai romani Mercati di Traiano come una vera rivelazione. Metamorphoses è una messa in vita di qualcosa che da secoli era rimasto addormentato. Un vortice irresistibile in cui, attraverso il recupero dei suoi morfemi, la voce del teatro greco si libera degli ignoranti stereotipi tradizionali e respira. In una azione fulminante, tratta principalmente dall’Asino d’oro di Apuleio e dai dialoghi di Platone, si consuma una fiamma abbagliante, il cui miracolo è retto da una tecnica performativa di altissimo livello. Il pubblico applaude e resta un po’ frastornato, come se qualcosa che gl’appartenesse da secoli, stampato nelle profondità segrete del proprio patrimonio genetico, avesse iniziato ad ardere.
Dopo una breve pausa viene poi presentato l’insieme dei materiali legati al nuovo lavoro, Elettra. In quelle brevi esercitazioni sceniche Gardzienice permette allo spettatore di osservare il meticoloso lavoro sulla grammatica del teatro, che solo può permettere alla poesia di soffiare tra le righe di uno spettacolo.
Merito di quest’occasione preziosa va all’Istituto Polacco di Roma, che in questi giorni ai Mercati di Traiano sta promuovendo un festival, Corso Polonia, che attraverso le arti figurative, la musica, il teatro e la danza cerca di creare uno spazio dialogico tra l’Italia e un Paese che continua ad essere trainante nei territori dell’arte contemporanea.
Per informazioni: www.istitutopolacco.it
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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