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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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I tratti armonici di un nuovo volto |
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Prove d'orchestra in questa prima edizione per la sinfonia con cui Cappuccio identifica la sua direzione. |
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di Gian Maria Tosatti
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Ha il fascino delle città del sud che si arrampicano sui fianchi di colline, che si dispiegano in salita. Ha il fascino delle città col passo imegnativo dei saliscendi, dei vicoli ripidi. Benevento è uno di quei luoghi che a saperli guardare fanno di per sé spettacolo. Città Spettacolo è appunto il titolo del festival che giunto alla sua XXIV edizione cambia direzione passando dalle mani (in pasta) di Maurizio Costanzo a quelle (affusolate) di Ruggero Cappuccio, autore finissimo, ma soprattutto coltivatore diretto (dalle mani e dall'aspetto da nobile borbonico non si direbbe) di teatro. E la sua impronta nella prima stagione che s'è appena chiusa si vede chiaramente. Un'edizione che, come tutte le numero uno, incontra alcuni problemi di registrazione, come qualche proposta poco riuscita (Il postino di Neruda per la regia di Memé Perlini ad esempio), lo slittamento di alcuni orari e la sovrapposizione di eventi che hanno rischiato di oscurarsi l'un l'altro (vedi lo splendido concerto Non-splendore Rock di Valdoca in concomitanza con un altro concerto gratuito nella piazza principale). Ma a parte queste note organizzative, facili da risolvere per la prossima edizione questo festival ha cercato di compiere un discorso più articolato con la città attraverso la comunicazione stretta tra le sezioni a impostare un discorso unico, una riflessione che s'è voluta fare sulla dispersione delle memorie e dei valori iscritti in esse. Una banda quella diretta da Cappuccio, che ha cercato appunto di stabilire in primis un'armonia di fondo, capace di permettere ad ogni movimento dell'opera di staccarsi e ritornare alla sua origine nella maniera più naturale possibile. Teatro, cinema, musica, letteratura, teatro ragazzi, mostre, laboratori ed eventi speciali sono i percorsi attraverso i quali s'è articolato un ragionamento in forma di prassi, di faccia a faccia con gli spettatori, in proposte diversificate che potessero da una parte incontrare un pubblico ampio e dall'altra far incontrare nel luogo-festival pubblici diversi che raramente hanno la possibilità di dialogare.
Nei giorni che abbiamo passato a Benevento ci è parsa evidente la crescita di livello della proposta generale e del rapporto tra il festival e la città. La ritmica del festival, che in quanto tale funziona e deve funzionare come un grande spettacolo, quest'anno ha dato segni di vita e pur mancando, a volte, qualche battuta, come s'è detto, per il resto ha scandito la partecipazione dello spettatore in modo rispettoso e calcolato con intelligenza perché s'amplificasse il valore della proposta di base. Tra gli eventi cui abbiamo assistito, oltre al già citato concerto del Teatro Valdoca, è certo da segnalare il premio Raffaele Viviani, assegnato a Roberto De Simone in una cerimonia sui generis, simile ad una conferenza spettacolo in cui il maestro ha chiarito alcune possibilità per avvicinare correttamente il grande drammauturgo napoletano cui è intitlato il riconoscimento.
La sorpresa più gradita è stata forse la conversazione sul calcio tra Claudio Di Palma e Dino Zoff, un delizioso duetto che ha mostrato da una parte l'elegante vena drammaturgica del primo e dall'altra le inaspettate doti umoristiche del secondo. Tra ironie ed equilibrismi letterari sono stati raccontati quarant'anni di calcio in un'occasione che mertierebbe di essere esportata anche fuori dall'una tantum beneventana.
Curioso invece il confronto tra due opere incredibilmente simili, il Tamerlano di Domenico Castaldo e l'ex-Otello di Roberto Herlitzka. Due lavori che sono propriamente due training d'attore, che pure tra mille analogie si pongono su due livelli differenti.
Se il primo appare come la ricerca tecnica per un respiro da attore, il secondo mostra la naturalezza di quel respiro. Lo scalino è quello tra una tecnica che si vede e una supertecnica che non è solo invisibile, ma intimamente più puntuale, misurata, naturale, come già s'è detto, in virtù degli anni anagrafici e di lavoro che dividono i due artisti.
In conclusione si dirà del successo ottenuto dai laboratori tenuti durante il festival che hanno dato vita ad un villaggio di giovani artisti che hanno popolato le strade beneventane scambiando con la città certamente qualcosa di prezioso.
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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