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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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L'aria buona del Trentino |
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Dedicata all'incontro tra pensiero degli artisti e pubblico l'ultima edizione di Drodesera. |
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di Gian Maria Tosatti
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DRO (TN) - Dal panorama estivo emerge l'occasione di Drodesera. La manifestazione, diretta da più di vent'anni da Barbara Boninsegna e Dino Sommadossi sembra, infatti, una delle poche rimaste cui sia possibile attribuire la definizione di "festival". Chi scrive ha potuto rilevare in essa un valore indipendente da quello dei lavori presentati, un valore legato al progetto artistico.
L'evento in questo caso non è stato dunque questo o quello spettacolo, questa o quella presenza, ma l'organismo che, attraverso quegli spettacoli e quelle presenze, ha prodotto l'atto culturale.
A Dro non si va per vedere il Lemming, Sieni o la Valdoca, ma per andare a Drodesera. Questa logica ha portato il team a vincere la sfida del pubblico residente. Di ritorno da un Trentino che sembra addormentato nella calma placida di agosto è quest'impressione diventa uno spunto di riflessione.
L'anomalia di Drodesera è l'essersi posto di fronte al suo pubblico come struttura pensante e non come contenitore vuoto (o carcassa direbbe più chiaramente qualcuno). Ciò ne ha fatto un interlocutore immediatamente riconoscibile dall'utenza potenziale del teatro, cioè il ricco bacino dei curiosi e di quelli che cercano un modo di porsi domande. Non c'era il pubblico degli intellettuali sclerotici a Dro, e se c'era era in minoranza. Non c'erano immagini emblematiche sui manifesti o proclami altisonanti, non c'era il solito piagnisteo per i fondi ridotti, solo un'idea semplice e una volontà testarda: prendere alla lettera il dovere di un operatore culturale, cioè rendere concretamente possibile ed agevole l'incontro con le visioni e le direzioni entro cui gli artisti si perdono nel loro esercizio quotidiano.
Così con chiarezza è stato steso un programma che prevedesse un più approfondito contatto con tali mondi e indagini teatrali. Due spettacoli almeno per ogni compagnia e per alcuni la possibilità di incontrare gli artisti nelle case. Una settimana di monografica è stata dedicata a Virgilio Sieni, coreografo simbolo della danza contemporanea italiana, e intrattenimenti collaterali hanno concesso al pubblico la libertà di deviare dal percorso principale con concerti e performance di diverso genere.
Dro è stato allora una specie di colpo secco al terrificante pubblico degli habitué del teatro, che ridotto ad un manipolo di zombie critici o critico-dipendenti, porta in giro se stesso di festival in festival ricreando di giorno in giorno lo stesso squallido circo di chi ormai del teatro che accade sui palcoscenici non sa davvero più che farsene.
Il risultato immediato è stato quello di vedere persone che finalmente abbandonano la sala perché questo o quello spettacolo gli "ha fatto schifo".
Ma a guardar bene è una relazione più onesta tra teatranti ed operatori ad emergere. Stavolta, infatti, i direttori sono i primi ad esporsi nella loro proposta e lo fanno per e davanti ad un pubblico vero, quel pubblico per cui la vita è molto più importante del teatro, un pubblico che non ha già scelto, ma che si affida al festival perché gli faccia una proposta.
Signore di mezz'età che se potessero metterebbero la pelliccia anche ad agosto, immigrati marocchini, studenti, ignoti avventori, amici, paesani che hanno voglia di uscire la sera. Questi, per lo più, gli spettatori in sala, che s'esaltano, escono, discutono, ma soprattutto non cercano di ricondurre il teatro al teatro.
E dunque un po' d'aria pulita s'è respirata non solo perché si è stati qualche giorno tra le montagne.
LifeGate ha potuto seguire solo gli ultimi giorni di programmazione.
Tra gli spettacoli presenti ha destato particolare interesse l'ultimo percorso del Teatro del Lemming di Massimo Munaro, che dopo la ricerca sensoriale culminata nella tetralogia sul mito, cerca di ricondurre alcuni dei risultati ottenuti in spazi diversi, in logiche convenzionali soggette ad altre leggi. Dei primi due capitoli in viaggio verso l'Inferno dantesco, quello che si è potuto notare è lo stato di una sperimentazione ancora in piena attività, per cui parlare di risultati sarebbe assai prematuro. Lo scontro continuo che il lavoro reitera contro le proprie pareti è in questo momento uno dei connotati più evidenti, ma la presenza di tali attriti testimonia la vitalità di una ricerca aperta. Uno dei principali nodi da risolvere pare comunque quello legato alle linee d'azione degli attori, che sembra non abbiano individualmente compiti "concreti", autonomi rispetto alle visioni registiche, su cui focalizzarsi di modo da precisare le loro talvolta sfocate sagome.
A portare avanti il concetto di performance come intervento urbano, una delle coscienza storiche di Drodesera, è stato il contenitore Extensioni, curato da Gerardo Lamattina, che ha visto impegnate otto realtà della nuova danza in un iter negli spazi esterni della Centrale Fies.
Cresciuto e più asciutto è apparso il Teatro di Terra delle Ariette, per il quale rimandiamo alla critica in archivio, mentre per concludere si racconterà della presenza di Valdoca, che, dopo una lettura di Mariangela Gualtieri nelle case di Dro, ha portato in scena i suoi ultimi due lavori, Imparare è anche bruciare e Non-splendore rock.
Quest'ultimo è il passaggio ulteriore di quel percorso parallelo che la compagnia diretta da Cesare Ronconi ha in questi anni portato avanti attraverso la forma concerto, in cui i versi della Gualtieri potessero trovare un altro canale di comunicazione oltre a quello primario e immediato della scena. Sul palco i brani di Parsifal, Antenata, Nei leoni nei lupi si sono fusi con il rock del giovane gruppo cesenate Aidoru, autore di pezzi di alto livello, le cui architetture sonore sfiorano talvolta la grazia matematica.
Diverso il discorso per Imparare è anche bruciare la cui esatta definizione potrebbe essere quella di un rituale, che allo spettatore richiede un'attitudine altra rispetto a quella abituale di testimone. Lo status che gli diventa proprio è quello del partecipante. Di fronte ai suoi occhi una generazione alza gli stendardi di una nuova e vergine volontà di presenza, di non fuggire. Un'opera complessa che nel momento in cui sembra uscire dal teatro avvicinandosi ad una specie di esorcismo di massa, di rito misterico e politico insieme, torna invece a riappropriarsi dell'essenza originaria della scena. Gli spettatori diventano allora una tribuna che incoraggia e soffre, si arma e sbatte e si rialza.
Qui si definisce il doppio rapporto di necessità che regge quest'ultimo spettacolo di Valdoca.
Necessità esterna è la funzione assembleare in cui il pubblico prende parte ad un'invocazione di gruppo perché si mostri e ceda l'anello che non regge di questo realismo ventrale che narcotizza le nostre allerte animali e tragiche, i centri del dolore. Necessità interna è qualcosa che realmente si compie in carne ogni volta che il rito viene ripetuto, è la trama-grammatica in cui Mariangela Gualtieri tesse il filo spezzato che è grido sordo di questa generazione in rivolta per farne una preghiera capace di resuscitare hic et nunc i quattordici ragazzi in scena.
Ecco, Imparare è anche bruciare è la chiamata alla Guerra Santa di Daumal, alla guerra partigiana per la riconquista della propria terra esistenziale straziata e insanguinata. Così quest'ultimo lavoro di Valdoca è vero teatro nel momento in cui trascende il teatro per diventare azione, azione politica, sociale, di coscienza compiuta attraverso gli strumenti della scena.
Questo, dunque, un quadro sintetico di quanto notato a Dro, in cui abbiamo voluto evidenziare alcuni era valori che ci auguriamo lo spettatore inizi a tener presente nel valutare il suo rapporto con le proposte culturali, non dimenticando che indipendentemente dai sistemi di potere è sempre il pubblico a scegliere.
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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