Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024
al 25/11/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Le risposte che arrivano.  
Hanno debuttato simultaneamente tre spettacoli rivoluzionari, tre atti civili dichiarati, coraggiosi e radicali, tre opere che codificano una voce, una parola tagliente e precisa.      
di Gian Maria Tosatti      

Viviamo sotto la minaccia di un terrorismo politico che usa il terrorismo islamico come strumento di controllo, viviamo in una realtà che giorno dopo giorno assomiglia sempre di più al "Mondo Nuovo" di Aldous Huxley, i cui profeti si chiamano Allen Ginsberg e Herbert Marcuse. Viviamo in una cella a forma di fabbrica in cui si pratica attraverso i mezzi di comunicazione un progressivo e sistematico condizionamento ipnopedico atto a determinare non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali, dissolvendo l'opposizione tra esistenza pubblica e privata, tra i bisogni individuali e quelli sociali. In questo luogo chiamato "Mondo 2002" viviamo, e tra coloro che io stesso sostengo e che girano le ribalte straniere con i loro buoni lavori non ho riscontrato la determinazione di tradurre in atto, in forma, in poesia l'urgenza di comunicazione che da questo stato di cose deriva. Quello che vorrei non è poter vedere un singolo spettacolo in questa direzione orientato, ma un intero movimento che s'impegni a risvegliare nei cittadini di questo sfortunato Paese un'allerta che li porti a rompere la rassegnazione e l'incoscienza con cui marciano verso i campi di concentramento invisibili che oggi somigliano a enormi allevamenti di uomini. Quello che vorrei vedere è un movimento che impugni la bandiera di una necessità che non può essere soltanto di chi oggi la manifesta. E' un appello questo che rivolgo però non a disordinati volenterosi, non ad artefici di un teatro sociale fatto rabberciando frasi ed idee davanti a video ed icone più grandi di chi le addita. Questo momento ha bisogno dei nostri artisti migliori, di eccellenti artigiani capaci di creare visioni, ha bisogno delle menti e dei cuori più alti. Questo momento non ha bisogno di un esercito di male armati soldati di ventura che si sfiniscono tra le spire delle loro stesse parole, non di cuori che bruciano, ma di sicari dal cuore di ghiaccio, le cui armi sono la tecnica, la precisione e la grazia. Questo momento non ha bisogno di persone di buona volontà, ma della coscienza dei grandi. E in uno scenario teatrale di poeti che spesso si chiedono prima "come fare" piuttosto che "cosa fare" vorrei poter chiedere di mirare decisamente l'obiettivo e nel perseguirlo, travolgere tutte le sicurezze che fin qui si sono conquistate, per demolire una paralisi che tra i cittadini è grave, ma tra i poeti, per dirla ancora con Brecht, è criminale.
Queste righe appassionate concludevano un intervento a mia firma sul forum 'Fare un teatro di guerra' di "ateatro.it". Era il 5 luglio 2002 quando il pezzo venne pubblicato col titolo di Necessità di un arte sociale. Era circa un anno fa. Poco meno. E infuriava il dibattito sul Nuovo Teatro, producendo convegni, incontri e litigate. Allora scrissi un lungo articolo per spostare l'obiettivo dal "come" fare al "perché" fare. Dopo quel pezzo venni contattato da molti artisti che condividevano la mia riflessione. Come ho detto è passato un anno. I dibattiti sul "come fare il Nuovo Teatro" sono rimasti allo stesso punto di allora, il dibattito sul "perché del Teatro" ha segnato un passo storico. In questi dieci mesi s'è articolata una risposta molto chiara e sorprendente. Decido di scrivere questo editoriale proprio oggi perché nella scorsa settimana hanno debuttato simultaneamente tre spettacoli rivoluzionari, tre atti politici dichiarati, coraggiosi e radicali, tre opere che codificano una voce, una parola tagliente e precisa, per quella generazione di dissenzienti che quasi miracolosamente sta prendendo coscienza dell'assurdità di questo sistema di equilibri nazionali e internazionali. In una sola settimana tre delle compagnie guida della scena contemporanea, Societas Raffaello Sanzio, Teatro delle Albe e Teatro Valdoca hanno restituito al teatro un ruolo fondamentale nella società, quello di luogo della cognizione e dell'azione.

Al Kunsten Festival di Bruxelles ha debuttato BR#04, quarta tappa della Tragedia Endogonidia raffaellosanziana, che seguendo le precedenti s'è imposto come un canale di traduzione, di esplicitazione attraverso una visione archetipa, delle deviazioni e perversioni di questo presente alla vigilia di una nuova preistoria.

A Ravenna ha debuttato il riallestimento de I Refrattari, testo di Marco Martinelli scritto dieci anni fa e capace di mostrare tutta la sua forza oggi proponendo domande critiche sull'atteggiamento dell'uomo civile in questa realtà, avvalorate dal quadro profetico puntualmente avveratosi.

A Modena Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi hanno dato voce direttamente a quella generazione che maggiormente sente la frattura con l'ordine globale. A conclusione di un corso di formazione durato sei mesi hanno dato vita a Imparare è anche bruciare, un lavoro lucido che parla proprio della ferita che bisogna allargare, del cordone che bisogna staccare per conquistare una vera libertà etica individuale.

Sono questi tre spettacoli tecnicamente impeccabili, violenti, decisi, non disposti a soluzioni facili, che assalgono lo spettatore e non si limitano a sbattergli in faccia la realtà decodificata, nuda e cruda nel suo meccanismo cannibale, ma generano quella che è la sintesi di quello che da sempre dev'essere lo sforzo artistico, una visione di superamento.

Eccola la risposta che cercavo un anno fa, arriva, dopo molti tentativi fruttuosi nel corso dei mesi, sincronizzata e per ciò tanto più efficace. Tre compagnie di grande livello creano un movimento, una forza, un "perché", un'azione artistica capace di colpire laddove nel castello dei "grandi strateghi del consenso" pare esserci una crepa, che colgono lo spirito di una generazione che grida sempre più forte per far sentire la sua voce di protesta. Articolando questo grido, i suoi suoni disperati questi tre gruppi, assieme ad alcuni altri che in questi dieci mesi hanno dimostrato la stessa volontà e capacità di adempierla, fanno un discorso affilato, un'arma micidiale e la offrono al pubblico.

Portare questi spettacoli ovunque, portarli al pubblico, offrirgli la possibilità di accedervi è ora compito degli operatori teatrali (il cui disinteresse criticavamo due settimane fa) e degli spettatori che devono chiedere alle strutture sul loro territorio un teatro che sia interlocutore decisivo e vitale, che sia strumento per capire e superare il cupo presente.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -