Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024
al 25/11/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Nell'assemblea del teatro  
Ha debuttato Psicoshow, ultimo lavoro dell'Impasto, nell'ambito del progetto Arte/Società/Follia realizzato assieme al CSS.      
di Gian Maria Tosatti      

UDINE - Il teatro è uno strumento per qualcos'altro. Si badi bene non scrivo: "dev'essere" uno strumento, ma "è", cioè "non può che essere" uno strumento, mettendo in chiaro un rapporto di assoluta necessità nella subordinazione della scena ai suoi messaggi o ai suoi perché. Questa sembra essere in fondo la lezione che tutti i grandi maestri ci hanno tramandato oltre le infinite contraddizioni legate alle epoche, alle esperienze, alle biografie.

Chiudo subito la piccola finestra di questo incipit, prima che qualcuno dei succitati vi sgattaioli fuori e inizi a far eccessivo chiasso col solo proprio nome.

Il motivo però per cui ho iniziato in questo modo a parlare dell'ultimo lavoro dell'Impasto è legato al valore che esso ha manifestato.

Due parti indipendenti una dall'altra eppure intimamente connesse compongono Psicoshow, ispirato alle Lezioni Brasiliane di Franco Basaglia e presentato nei giorni scorsi al Teatro San Giorgio di Udine, casa del CSS, che coproduce il progetto Arte/Società/Follia diretto da Berti e dalla Lucenti.

Cinquanta minuti per discutere, nella prima parte, in maniera chiara, quasi violenta, di psichiatria e delle sue implicazioni. Una conversazione "d'azione" per parlare, per precisare, svelare, sottolineare, ricordare qual è la materia su cui opera la scienza della mente: gli uomini e le loro esistenze. Una sorta di arringa multipla, condotta da un gruppo di attori che ancora una volta ha negato la sua estraneità all'assemblea degli individui presenti in sala e che ha giocato, sì, giocato a carte scoperte senza nascondersi dietro a identità fittizie, a fantasmi o fantocci letterari. Ognuno di loro ha esposto la sua presenza, la sua storia, e s'è prestato al gioco di "fare Basaglia", a far risuonare con la propria bocca e il proprio corpo parole che non smettono di suonare rivoluzionarie, ordinate con acuminato cinismo da Alessandro Berti.

Quarantacinque minuti è il tempo in cui s'è sviluppata, invece la seconda parte del lavoro, una danza dei conflitti, una catena dell'instabilità coreografata da Michela Lucenti. Una danza degli occhi, seguita dai corpi e accesa dal canto, che ha confermato il valore del lavoro tecnico compiuto dalla compagnia, che ha aperto in Psicoshow anche ai partecipanti del laboratorio Danzare l'anima, una delle varie sezioni dell'intero progetto.

Al calare del sipario il campo d'azione di questo lavoro era chiaro e tornava a riproporre (specie nella prima parte) una matrice didascalica, la cui funzionalità, rispetto alla logica dialettica del rapporto teatrale, mi ha sempre perplesso. In base tale considerazione chi scrive s'è trovato per un attimo a giudicare, quasi a soppesare questo lavoro invece che ad osservarlo. Grazie al cielo la pungente sgradevolezza di una sensazione di comunanza provata in quel momento con critici e operatori del miope sistema teatrale italiota ha agito come una sberla che ha spostato il mio sguardo dalla paralisi all'attenzione mostrandomi lo spettacolo sotto una prospettiva completamente diversa. Era evidente allora il lavoro di un gruppo di ricerca che, attraverso un percorso deciso e definito, dà e si dà occasione per incontrarsi e scontrarsi con problematiche che compongono il tessuto di questo presente, le dà a se stesso e alle persone coinvolte nei suoi progetti, dà loro un contrasto, una tesi, un movimento per superare l'immobilità. Questo m'è apparso dunque come il valore principale, che non può essere ridotto alla sola esperienza performativa. Ad esso vanno subordinate le componenti di uno spettacolo realizzato con la sapienza che la compagnia pare aver acquisito nel delineare con chiarezza le dinamiche dei conflitti e nel sostenerle con un impianto ad esse funzionale.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -