Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
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Che cosa è il fascismo?  
Intervista a Roberto Paci Dalò sul suo progetto Italia anno zero in scena a Berlino.      
Berlino, Maerzmusik. Martedì 8 marzo
di Anna Maria Monteverdi
     

Prendiamo a prestito il titolo di una delle opere “storiche” di Fabio Mauri che negli anni Settanta riproduceva performativamente una cerimonia di ludi juvenilia del Ventennio a sottolineare l’ipocrisia trionfalistica ed esaltativa della retorica fascista per parlare dell’ultimo lavoro video-musicale scenico di Paci Roberto Dalò Italia anno zero in programma al Berliner Festspiele l’8 marzo.
Ha debuttato a Budapest (Festival d’Autunno) e in seguito è stato a Vienna al prestigioso Festival Wien Modern il concerto scenico Italia anno zero, realizzato in collaborazione con la compositrice austriaca Olga Neuwirth. Il fascio littorio, le tazzine con Mussolini a Predappio, l’atmosfera retrò, il neorealismo cinematografico insieme alla poesia italiana, da Leopardi a Pasolini.

Avevamo incontrato Paci Dalò a Roma nell’ottobre 2004 poco prima del debutto di questo spettacolo che unisce letteratura, musica e film e in cui si parla di fascismi vecchi e nuovi. Con lui avevamo guardato il film interamente in bianco e nero di 55 minuti con la voce narrante di Sandro Lombardi, concepito per essere proiettato su uno schermo invisibile e dietro il quale suonano in diretta i musicisti; alle loro spalle un fondale con immagini in diretta che offrono un ulteriore contrappunto visivo al film. Gli interpreti stanno dentro il film, dentro lo spazio della proiezione, incastrati tra gli schermi in scena con i vari strumenti (strumentazioni elettroniche, clarinetti) mentre la voce ha un proprio spazio di riconoscibilità. Sono ingabbiati dentro questa scatola visiva il cui punto di partenza – precisa Paci Dalò - è il testo, o meglio i testi: Pasolini, Gramsci, Leopardi. Il testo-guida è la colonna che serve da cue; su ogni testo c’è un intervento sonoro diverso. La voce del testo non è elaborata perché voleva essere un gioco di “purezza” del testo, il resto della musica è potente. una sorta di “noise band” . Prendiamo materiali sonori e li immettiamo in un flusso che ha a che fare, è vero, col noise con il mondo del rumore, violento, giochiamo sulla psicoacustica, sulla percezione, sulle frequenze subliminali, sugli ultrasuoni, sulle subfrequenze. Il suono permette di creare queste fasce estreme, queste frequenze gravi che permettono di lavorare con grande potenza sull’architettura del luogo. Il progetto è partito dal testo: le lettere di Gramsci, frammenti poetici di Pasolini e di Leopardi. L’infinito e Poesia in forma di rosa... Mi piace la logorrea di Pasolini, scriveva di continuo, c’è poi questa psicogeografia, questa doppia vita diurna e notturna. Come un cane senza padrone è on the road con le sue “derive”... E alcune riflessioni su quella che è proprio una combinazione devastante questa sua particolarità, questo essere comunista cattolico e omosessuale che creava problema all’epoca, ora forse ancora di più. Un’opera di riferimento è per me Salò. Un punto limite, se vuoi, era il 1975. Diceva: “Quando c’è libertà si può fare qualcosa, quando non c’è libertà si può fare tutto”. Il lavoro è una riflessione non solo sulla permanenza del fascismo in Italia a tutti i livelli della società, ma sulla constatazione - quello che mi interessa in modo più sottile - di tutto ciò che ruota intorno all’idea del pre-fascismo. L’Italia è un paese fascista dentro. Bastard inside. Tutte le reazioni, politiche, sociali, a tutti i livelli, sono dei tasselli che hanno a che fare con un approccio, un atteggiamento fascista. Questo si capisce perfettamente con Leopardi che non può essere accusato di fascismo! Leopardi, lui sì che è il più… il vero rivoltoso, quello che ha scritto le cose più violente, rispetto agli altri..

A quale testo ti riferisci in particolare? E cosa unisce il fascismo e Leopardi?

Il testo principale utilizzato è il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani. Leopardi dice: “Gli italiani non sono capaci nella cosiddetta intimità della casa, non sono capaci di parlare tra loro, non comunicano... è un problema linguistico, è un’incapacità”...è vero, se penso alle amicizie, incontri dove non ne esce nulla, devi saper dire cose vere, un problema! Riscontrare tristemente questo disprezzo per la vita altrui, della normalità della quotidianità. Luoghi comuni sulla bontà dell’italiano sono rimasti, se penso a quanto la Germania ha riflettuto sul periodo del nazionalsocialismo, e a quanto non ha fatto l’Italia!

Quali sono stati i tuoi riferimenti storiografici oltre che letterari?

La mia figura drammaturgica di riferimento è Heiner Müller. Poi mi interessa un certo tipo di drammaturgia italiana che ha a che fare con la storia, con i documenti, con l’oralità. Tra altri testi che ho utilizzato ci sono Psicologia di massa del fascismo di Wilhelm Reich e gli scritti di Giorgio Baratta su Gramsci. Lavoro ormai da molto tempo con/su autori come Giorgio Agamben, Müller o Benjamin che fanno da filo conduttore spesso non esplicitato al tutto il mio lavoro. Lavorare sugli scarti percettivi è un tipo di intervento politico. Tutto il lavoro è poi un’indagine sull’iconografia fascista, con filmati degli anni Trenta e Quaranta presi e rallentati, usati “chimicamente”, diventati altro rispetto all’uso documentario. Una pratica non lontana da maestri come Yervant Gianikian-Angela Ricci Lucci, Peter Forgasc, Aleksandr Sokurov, che sono per me un punto di riferimento. Dal punto di vista del lavoro sulla memoria e sulle immagini, mi colloco in questa tradizione.

Nel film compaiono immagini di Mussolini, delle adunate fasciste...

In tutto il lavoro Mussolini non ne esce come il luogo comune vorrebbe... Questo non è uno spettacolo antifascista, casomai contro i luoghi comuni... E’ il far parlare le cose, come dire: “Sentiamo cosa c’è dentro”. Il nostro lavoro vuole andare al di là della retorica antifascista di comodo. Vorrebbe lavorare in maniera più trasversale, non basta dire: “C’era una volta il fascismo”... Vorrei parlare del fascismo dentro di noi tutti in quanto italiani. Si guarda diversamente a Mussolini tramite la post-produzione, attraverso le immagini rallentate ed esasperate; sono immagini tipiche dell’oratoria fascista. Un lavoro importante è stato fatto sulla voce di Mussolini, ho selezionato una serie di frase e parole, ho lavorato con la sintesi granulare, sulla forma d’onda, per far sì che non si riconoscano le parole. Una polaroid acustica della lugubre oratoria fascista. Come lavorare con una lente di ingrandimento, con la luce evidenzi un aspetto, con il suono entri nello spettro di una particolare parola, un lavoro di “laboratorio” sulla grana sonora. Il senso della parola è una cosa, l’altra è la sua fisicità. Fino a un certo punto stai a pensare proprio alla composizione interna chimica di questo materiale, fisica e psichica, “la grana della voce”, direbbe Barthes. E’ il desiderio di creare, crearla usando dei materiali suoi, non suppletivi che si sovrappongono.

Quali altri materiali hai utilizzato come iconografia? Quasi tutto il girato è stato fatto a Roma alla ricerca delle tracce dell’iconografia che tuttora permangono. Fasci littori, aquile, l’Eur in particolare, dove avevo già lavorato con Anna Bonaiuto allo spettacolo Metamorfosi creato al “Palazzo della civiltà italiana” (il “Colosseo quadrato”). Ci sono immagini e architetture legate a un periodo storico artistico ben definito insieme a immagini dei giorni nostri, girate per strade, all’Esquilino, molta polizia... L’Italia è di fatto uno stato di polizia e le immagini evocano la “normalità” di questo quotidiano. Immagini di carabinieri, di piccole manifestazioni; niente di particolarmente violento ma sufficiente per intuire qualcosa di più preoccupante e sottile…

E il cinema nel cinema

Ho inserito immagini di interni con un’attrice girati in un’ambiente non caratterizzato storicamente ma che evoca attraverso gli abiti un periodo indefinito tra anni trenta e quaranta. Lei è nella finzione una spettatrice di un film proiettato in un cinema invisibile e siamo noi il film che lei sta guardando. In bianco e nero per dare l’idea dell’ambiguità temporale, e talvolta sfuocato. Il film è lo spazio, non è importante distinguere chiaramente.

Hai inserito anche parti di animazione..

Ho usato l’animazione con riprese Super8 a passo uno. L’opera di Francis Bacon è evocata da uomini di plastilina, video e pellicola. Durante la preparazione ho guardato diversi lavori di autori come Jan Svankmajer e i Quay Brothers. In futuro non mi dispiacerebbe creare un intero film in animazione.

Con Olga come avete lavorato sul piano musicale?

Il testo era la cosa più importante, abbiamo fatto le traduzioni e costruito il “libretto” multilingue dell’opera. Abbiamo lavorato sulla struttura più che sulla partitura di ogni singolo strumento. Ci sono tante cose improvvisate e controllate in diretta durante la performance. Io e Olga siamo entrambi in scena insieme a un piccolo gruppo di musicisti e lavoriamo con elettronica, strumenti acustici, campionatore. C’è da dire che il film costituisce la vera partitura dell’intero progetto. E’ il film che guida l’azione complessiva.

C’è un progetto on-line per Italia anno zero?

Abbiamo deciso di mettere diversi file audio nel sito del progetto. File che si possono liberamente scaricare e che permettono di ricomporre una propria versione del lavoro. E per il pubblico in sala c’è la possibilità di portare a casa una scatola di CD (completa di inlay card e copertina) pronta per alloggiare la propria versione dell’opera.

http://www.italiaannozero.org

Questo articolo è apparso su ateatro 81

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -